02 Mar Once in a lifetime: Anna Magdalena Bach
Il 22 febbraio 1701 nasce a Zeitz, in Sassonia, Anna Magdalena Bach, musicista e seconda moglie di Johann Sebastian Bach. La storiografia ufficiale ha tramandato sino a noi pochi e frammentari pezzi della sua vita. Anna Magdalena era una bravissima cantante. Incontra il “Kapellmeister” Johann Sebastian e lo sposa, in seconde nozze, in quel di Köthen il 3 dicembre 1721. Anna diventa la sua fedele copista e lo accompagna in ogni concerto: lei canta, lui suona il clavicembalo. La sua figura diventa centrale nella storia perchè tocca a lei trascrivere nota per nota il genio di Bach, tocca a lei riportare tutto sul pentagramma, rendere quella straordinaria musica leggibile, tramandabile e fruibile per il bene dell’intera umanità. Perchè con la musica si cresce, si diventa grandi, si impara a vivere e a sognare. Anche a morire, se necessario. Anna Magdalena affida così la geniale produzione del marito al lento fluire del tempo, all’intelligenza e all’energia degli uomini che verranno dopo. Sin qui il passo ufficiale, il cenno iconografico. Ma il tempo prova a farsi galantuomo. Perchè poi accade qualcosa. Accade che, dopo tre secoli e mezzo, qualche studioso cominci ad immergersi nelle sudate carte. Lo studioso, un professore australiano, celebre direttore d’orchestra, comincia a incrociare stili, scritture e desinenze e si accorge che in un opera particolare, in quella che riassume forse tutta la potenza espressiva di Johann Sebastian, le “Suites per violoncello solo”, c’è qualcosa che manca. Secondo Martin Jarvis a difettare tra quelle note immortali sono proprio le “impronte digitali” dello stile di Bach. Quell’opera rivoluzionaria, che cambia per sempre il suono e l’idea stessa del violoncello, non sembra provenire dalla stessa penna delle Sonate e Partite per violino solo. E’ troppo innovativa, troppo femminile e audace per un uomo quadrato come Johann Sebastian. E poi dallo studio spunta anche una sigla, un’ammissione di colpa, una confessione. Perchè in calce ad uno dei due manoscritti su cui le “Suites” sono state trascritte Jarvis scopre, tra evidenze calligrafiche, anche una chiara firma. “Ecrite par Madame Bachen, son Epouse”. “Scritto da Madame Bach, sua sposa”. E’ qualcosa più di un indizio. Perchè questa storia gira attorno alla sottile ed abnorme differenza che in musica passa tra “scrivere” e “comporre”. Da lì, da quel momento, Jarvis comincia a rovistare tra le carte di Bach, tra le sue opere più e meno note. Scorge singolari coincidenze, scopre fatali progressioni, fughe del tutto simili e probabili sovrapposizioni. Ci sono parti intere di altre opere, dice Jarvis, che sembrano possedere quella stessa anima, lo stesso spirito compositivo delle “Suites”. Lo studioso pensa all’Aria delle Variazioni Goldberg, al primo e secondo libro del Clavicembalo e formula una teoria. Quelle pagine non sono di Johann Sebastian. Quelle note, quell’impianto temerario sono opera di Anna Magdalena. Perchè quelle opere geniali non sono e non possono essere uscite dalla penna di Bach. Troppo differenti. Sono piuttosto il frutto delle idee di Anna, messe poi sapientemente assieme dal marito. Sono quantomeno il segno e la cifra della sua fatale e crescente influenza. Probabilmente Anna Magdalena non era solo una musicista talentuosa e dotata, ma era anche una compositrice mossa da una profonda passione per il concatenarsi delle note e per il desiderio di far vedere al mondo quanto una donna potesse fare o anche solo suggerire ad un marito così geniale. E’ una sfida nella sfida, probabilmente vinta. Ma noi non sapremo mai come sia andata davvero. La teoria di Jarvis sembra però troppo centrata e troppo bella per non essere vera. Quel che è certo è che Anna Magdalena Bach pare non aver ancora trovato il suo giusto posto nella storia della musica. Da questo piccolo ed umile antro, qualcuno confida che prima o poi accada.