02 Mar Once in a lifetime: Arturo Toscanini
Il 16 gennaio 1957 muore a New York Arturo Toscanini, di professione musicista e direttore d’orchestra. Esistono in queste nostre piccole vite governate dal caos alcuni momenti chiave, alcune contingenze nodali da cui si dipanano traiettorie diverse e spesso opposte, che poi incidentalmente ci ritroviamo a percorrere. Ripensando negli anni a questi singolari e nevralgici incroci che ci siamo lasciati alle spalle, molti maturano l’innocente e fragile idea di aver governato il cambiamento, di aver “chiamato” la svolta, di aver preso con consapevolezza e discernimento la strada giusta, quando invece, molto più semplicemente, quella strada era stata imboccata da tempo ed in quel frangente affrontava solo una curva più secca del solito. Così accadde anche a un giovanissimo violoncellista parmense che prese in mano, per la prima volta, le bacchette di direttore per via di quello che lui stesso ritenne essere stato uno strano scherzo del destino ma che in realtà fu solo un passo più ripido di un sentiero da tempo imboccato. Ad avviso di Arturo Toscanini la sua grande carriera sarebbe infatti iniziata quasi per caso. Merito di una serie di intemperanti e sonore contestazioni che impedirono al direttore d’orchestra titolare di salire sul podio a dirigere l’Aida di Verdi. E’ il 30 giugno 1886 e al teatro “Don Pedro II” di Rio de Janeiro sta per andare in scena la celebrata opera verdiana, ma il maestro Superti abbandona la buca tra i fischi. I musicisti e i coristi ingaggiati dall’Italia si girano verso Arturo, che arriva da Parma come Verdi, e lo pregano di farsi avanti. Arturo sale sul podio, chiude lo spartito e dirige l’opera a memoria. E’ l’inizio di una favola che farà di quel violoncellista diciannovenne uno dei più grandi direttori di sempre. Ma non per merito di un poetico destino, quanto piuttosto della prontezza di spirito dei colleghi di tournèe che avevano colto al volo tutto quel suo talento e, anche e soprattutto, quel suo intimo rapporto con Verdi. Non ci fu solo il grande compositore emiliano nelle sue corde, perchè Toscanini negli anni frequentò e interpretò magistralmente anche altri apici assoluti come Beethoven, Brahms e Wagner. Toscanini girò mezzo mondo e tornò in Italia solo allo scoppio del primo conflitto bellico per dirigere alcuni concerti nelle retrovie dell’Isonzo. Ma non vi rimase a lungo perchè dovette fare i conti con il fascismo e le pressanti pretese di Hitler che lo voleva direttore a Bayreuth. Arturo rifiuta clamorosamente e ripara a New York, attendendo la liberazione, a cui legò poi indelebilmente il suo nome. Toccò infatti proprio a lui l’onore di dirigere solennemente nel 1946, sulle note amiche di Verdi e Puccini, il catartico concerto inaugurale di una Scala di Milano ricostruita e restituita ai fasti del passato. Toscanini è stato la musica. Arturo ne ha incarnato l’anima intima e nascosta, la pura essenza stilistica, l’attenta e rigorosa adesione allo spartito e agli accenti del compositore. Come racconta il maestro Barenboim, “Toscanini è stato un artista audace, che ha aperto le porte al repertorio contemporaneo, che ha formato le orchestre. Ma anche un uomo politicamente impegnato. Fino alla fine ha mantenuto lo slancio e il temperamento per cui era famoso, senza mai arretrare di un centimetro. Di solito invecchiando si diventa più inclini al compromesso, ma per i creativi vale il contrario: con il passar del tempo danno il meglio di sé, spendono le energie migliori.”