02 Mar Once in a lifetime: J.D. Salinger
Il 27 gennaio 2010 muore a Cornish, nel New Hampshire, Jerome David Salinger, di professione scrittore. In un mondo ossessionato da fama e gloria e che pare disposto a tutto pur di conquistare e difendere i fatidici cinque minuti di celebrità, quei pochi indomiti che hanno ostinatamente rifuggito le attenzioni e le luci della ribalta mi sono sempre stati simpatici. Anche se nel caso di J.D. le cause del suo forzato isolamento erano molteplici e da ricercare, più che in una solida e fiera misantropia, in evidenze psico-patologiche di natura post-traumatica. Perchè Jerome era un animo sensibile che aveva pagato a caro prezzo la drammatica esperienza bellica della seconda guerra mondiale, trascorsa servendo i Servizi di Informazione alleati durante tutta la lunga campagna europea, dallo sbarco in Normandia sino alla presa di Berlino. Quei duri anni lo segnarono profondamente non solo a livello emotivo, scavando e portando in rilievo trame e temi che poi diverranno centrali in tutti i suoi lavori. Quell’esperienza gli aveva insegnato a difendersi, a diffidare delle attenzioni eccessive e degli ordini perentori, degli amici troppo interessati e di tutto ciò che suona “phony” e cioè falso, posticcio, ipocrita. Quando nel 1951 pubblica l’epocale “The Catcher in The Rye”, il cui titolo è un gioco di citazioni tratto da un poema di Robert Burns, Jerome è una persona diversa da quella che solo dieci anni prima aveva entusiasticamente affidato i primi straordinari racconti al New Yorker. Salinger non ha più tempo da perdere, non ha voglia di sprecare energie nel curare e gestire relazioni di cui non sente alcuna necessità. Perchè Salinger, per certi versi, era davvero la controfigura di Holden Caulfield, non il contrario. “Il giovane Holden”, pubblicato in Italia da Einaudi con quella straordinaria copertina bianca, non era solo un romanzo di formazione, una celebrazione moderna della teenage angst, di quell’amaro conflitto tra cinismo e innocenza che ha regalato pagine immortali della letteratura americana del novecento, ma andava ben oltre mettendo in discussione un sistema di valori, un sentire collettivo e comune che risultava falso e pretestuoso, rigido, ipocrita e pieno di presunzioni. Come per molti altri della mia generazione, quel libro ha cambiato il ritmo della mia vita a sedici anni e, nell’incredibile complessità delle trame, mi ha dato un pizzico di saggia consapevolezza dieci anni più tardi. Perchè quel libro, che è tornato spesso ad agitare, sotto mentite spoglie, i pensieri e i lavori di Salinger, continua a custodire chiavi profonde che hanno a che fare con noi stessi, con il rispetto delle nostre idee e delle nostre attitudini, con questa singolare esperienza sensoriale e con tutte le nostre tensioni creative e ideali. “A chi precipita non è permesso di accorgersi né di sentirsi quando tocca il fondo. Continua soltanto a precipitare giú. Questa bella combinazione è destinata agli uomini che, in un momento o nell’altro della loro vita, hanno cercato qualcosa che il loro ambiente non poteva dargli. O che loro pensavano che il loro ambiente non potesse dargli. Sicché hanno smesso di cercare. Hanno smesso prima ancora di avere veramente cominciato.”