27 Mar Once in a lifetime: Stanislaw Lem
Il 27 marzo 2006 muore a Cracovia Stanislaw Lem, scrittore di professione. Stanislaw ha abitato anni difficili e pericolosi nel bel mezzo del crocevia più tragico e turbolento d’Europa. Il secolo breve ha infatti richiesto una ben dura prova alla Polonia e alla sua gente, soggiogata, prima, dalla Germania nazista, poi, dal regime comunista e, infine, imprigionata per decenni in una lunghissima notte senza stelle. Per i letterati, gli intellettuali e gli uomini di cultura polacchi la fantascienza ha offerto un sicuro approdo ed un modo per tornare ostinatamente a cercare nella volta celeste il fondamento di tutte le loro ragioni profonde. E’ stata la loro migliore speranza, il modo più semplice per ricucire la realtà, per cercarvi un senso e un significato diversi da quelli che venivano quotidianamente imposti. Per il giovane Stanislaw la fantascienza è stata molto più di un genere letterario. Gli ha offerto asilo e gli ha regalato un raro privilegio in anni così grigi e instabili, quello di costruire mondi fantastici, alternativi e futuribili per provare a raccontare il quotidiano reale, quello che vedeva ogni nevosa mattina fuori dalla finestre dell’Accademia di Astronautica. Nelle sue mani quel futuro ipotetico e immaginato si è fatto così reale e realistico, franco e tangibile, a misura d’uomo e di libertà. I suoi lavori più noti, “L’ospedale dei dannati”, “Solaris” o “Il pianeta morto”, hanno tutti la medesima caratteristica. Raccontano l’uomo, le sue debolezze, i suoi rimpianti e i suoi sentimenti. Perchè l’abile penna di Lem riusciva ad ingannare facilmente anche il più zelante dei censori. Perchè Stanislaw, nel mentre giocava con immaginifici universi paralleli, con astronavi cibernetiche e principi di fisica quantistica, metteva in realtà le mani in una materia squisitamente terrena e terrestre, magmatica e infinita come la filosofia. I suoi personaggi si muovono in mondi lontani ma abitano lo stesso suo presente complesso. Le loro vicende si snodano su piani sempre diversi ma finiscono regolarmente per fare i conti con l’emergere del dubbio e della fragilità, con domande esistenziali e le ombre di uno sconosciuto io interiore, con gli angusti confini etici e morali di società tese ed oppressive, pesantemente ossessionate dalla smania di controllo. Il suo rimane solo in apparenza un viaggio siderale tra lontane galassie e stelle di ghiaccio. Perchè quello che Lem ha saputo racchiudere mirabilmente in ogni suo romanzo, sotto la levigata superficie di una estrema accuratezza scientifica, è un viaggio nell’uomo, intimo e accorato, tra emozioni e valori, significato e istinto. Ed è proprio questo singolare tratto a renderlo uno scrittore infinito e davvero senza tempo. Nonostante l’amore per una letteratura finemente distopica, questo suo umanesimo filosofico lo ha spinto lontano dal perimetro più illuminato di genere (Aldiss, Dick e Bradbury) sino a fargli incontrare due assoluti giganti come Italo Calvino e Jorge Luis Borges. Questa sua ricca trama ha trovato negli anni molti estimatori ma è toccato ad un grande regista, schivo ed esigente, come Andreij Tarkovskji l’onore di regalare a uno dei suoi migliori passaggi un epocale immaginario visivo e scenografico. Grazie al suo magico tocco, “Solaris” è così diventato anche una pietra miliare del cinema fantastico, la perfetta trasposizione filmica della sfida all’ignoto e al mistero più importante che ancora attende di essere svelato: l’uomo e le sue infinite capacità cognitive.