30 Mar Once in a lifetime: Pellegrino Artusi
Once in a lifetime: il 30 marzo 1911 muore a Firenze Pellegrino Artusi, di professione scrittore e provetto gastronomo. Le lucide intuizioni di Pellegrino, fine uomo di scienza, rappresentano non solo la storia della pubblicistica gastronomica italiana ma anche della struttura sociale del nostro Paese, perché le traiettorie della cucina e della percezione collettiva del cibo sono da sempre straordinari parametri per interpretare la cultura di un paese e, nel caso di specie, per comprendere l’evoluzione del sistema di relazioni sociali all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia. Per secoli la nostra letteratura di settore era rimasta al palo, letteralmente schiacciata dall’evidente subalternità culturale rispetto a quella francese, che dettava da tempo la struttura, lo stile, la preparazione ed i tempi del menù. Quella italiana scontava infatti quantomeno un grave deficit di consapevolezza, lascito di una sudditanza che si era consolidata in secoli e secoli di dominazione straniera. La cucina della nostra penisola si presentava inoltre estremamente varia e del tutto disomogenea. Convivevano in essa tradizioni distanti che erano sopravvissute all’impatto della storia, rifugiandosi in tante piccole e distinte enclave. La nostra cucina si era nascosta per secoli nei fornelli delle case, nelle feste contadine e sulle tavole disadorne di qualche osteria all’interno dei millenari perimetri territoriali, continuando a stringere così quel profondo legame con le comunità di base che si rivelerà, poi, nel successivo secolo della modernità, un formidabile strumento di presidio e tutela dei tratti più esclusivi e peculiari. Quello delle mille cucine era un sapere gastronomico antico, stratificato, di natura meticcia, ma geograficamente e socialmente identificato. Perchè, a differenza di altre nazioni del Continente, in Italia era ed è sufficiente spostarsi di soli pochi chilometri, da una città all’altra, per imbattersi in un’inestimabile e diversificato patrimonio di prodotti, ingredienti, rielaborazioni, tutele e specialità. Fino ad allora però questa ricchezza era rimasta sottotraccia. Fu solo dopo l’Unità d’Italia che la pubblicistica di settore tentò, in qualche modo, di dare le prime parziali sistematizzazioni. Poi, finalmente, arrivò Artusi e la sua celebre codificazione. Pellegrino veniva da una famiglia agiata ed aveva avuto la fortunata opportunità di coltivare al meglio le sue due grandi passioni, la letteratura e la gastronomia. Nei suoi anni giovanili aveva seguito il padre, mercante di cavalli, nelle fiere di tutte le città del Regno girando la penisola da nord a sud e da costa a costa. Aveva così toccato con mano, anzi assaggiato, tutte le diverse declinazioni del nostro vastissimo patrimonio culinario e aveva cominciato una certosina opera di catalogazione. Ed è proprio all’esito di questi viaggi sensoriali che nel 1891 elabora la sua prima celebre mappa geo-gastronomica. “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” presentava un’innovativa concezione territoriale della scienza culinaria. Artusi comprese infatti che quello che per molti studiosi rappresentava il nostro principale e grave difetto era, in realtà, uno straordinario punto di forza. Pellegrino struttura e definisce, così, un modello che, pur arrivando da lontano, si apre alla modernità e che è, prima di tutto, espressione locale del territorio, dei suoi mercati e dei suoi prodotti, nonchè lo specchio delle vicissitudini storiche dei luoghi e delle loro influenze culturali e sociali. Artusi rintraccia un profilo filologico omogeneo e lo mette in relazione agli ambiti delle città e delle regioni, seguendo una sorta di illuminato schema amministrativo ante litteram che sembra suggerire un futuro di scambi e relazioni lungo il tracciato delle arterie di comunicazione e della ferrovia. All’interno di uno schema generale, la diversità delle pietanze e degli alimenti assume così una funzione del tutto simile a quella dei diversi dialetti. I piatti della cucina territoriale descritti nel suo libro diventano così un linguaggio comune che riunisce e non divide, l’esemplificazione di un gusto sociale facilmente comprensibile e del tutto traducibile. La sua è una narrazione collettiva che procede per ricette e che attribuisce un nuovo significato al patrimonio domestico delle famiglie e alle rispettive radici culturali. Il lavoro di Artusi è il primo tentativo di tutelare una tradizione che sino a quel momento era rimasta mera resistenza culturale, aprendola al mondo e forzandola al confronto e allo scambio. In questo Pellegrino è stato davvero un gigante e ben si può definire il vero padre della cucina moderna. E’ merito suo, della sua lucida visione e della sua passione, se la nostra cucina e le nostre tradizioni culinarie sono riuscite a superare le prove del tempo. E’ merito suo se questo paese ha saputo mantenere sostanzialmente integra la sua formidabile ricchezza culturale e sociale, quella stessa che il mondo ci invidia e che tenta inutilmente di replicare. Lo dobbiamo solo a Pellegrino Artusi da San Ruffillo di Forlimpopoli, con buona pace dei soliti chef, delle tristissime derive dell’alta cucina molecolare o degli imbarazzanti siparietti dei nostrani contest televisivi e dei loro piccoli divetti.