07 Apr Once in a lifetime: Billie Holiday
Il 7 aprile 1915 nasce a Philadelphia Eleanora Fagan, meglio nota al mondo come Billie Holiday, di professione cantante. Eleanora era il frutto di un amore furtivo ed effimero tra una tredicenne ballerina di fila, Sadie Fagan, e un aitante chitarrista di tre anni più vecchio. Clarence Holiday era un impenitente donnaiolo. Era così bravo con la chitarra che finì per non farle mai da padre, preso com’era dalla musica e da quel suo ingaggio dorato con la grande orchestra di Fletcher Henderson. Ma quando volle scegliersi un nome d’arte, Eleanora fu proprio a lui che pensò, al sangue del suo sangue, alla musica e a tutto quel vuoto che si portava dentro. Fu così che si prese a forza quel cognome che non aveva mai ricevuto. Era una questione privata, una vicenda di famiglia, una storia di sangue e riparazione. Per il nome pensò invece che servisse ben altro, qualcosa di potente, visionario e immaginifico. Per questo pensò alla sua attrice preferita Billie Dove.
Come molti coetanei, Eleanora non ebbe un’infanzia tranquilla. Quel mondo concedeva poco o nulla a chi cresceva ai margini. Viveva in strada da selvaggia, affidata distrattamente ad amici e conoscenti da una madre ragazzina alla costante ricerca di soldi e lavoro. In quel mondo di sottoscala, lavoretti ed incerti la sua difficile esistenza non costituiva un’eccezione, perché esattamente quella era la vita nelle backstreets. Ciò nonostante Eleanora riuscì a prendere le misure a quel quotidiano duro e doloroso. Resistette, malgrado tutto e tutti, malgrado l’amore che non aveva mai ricevuto e la tristezza che la squadrava dalle lenzuola ad ogni risveglio, malgrado la speranza in un futuro diverso e la solitudine di una schiacciante incertezza. Perché la sua anima forte e sensibile aveva trovato riparo dietro quel profondo senso di abbandono che si portava dietro sin dalla più tenera età e che l’aveva spinta a reagire duramente, a fare di testa sua, a ribellarsi, a non dare bado al patrigno o a sua madre a costo di finire nei guai o magari al riformatorio. Quella sua anima gentile profumava di gardenia e coincideva con un mondo sognato e diverso da quello che aveva frequentato per anni e che l’aveva vista crescere infliggendole spesso violenza, mortificazione e dolore. Quella sua anima aveva bisogno di uno strumento per narrare tutta la tristezza e tutto il grigio dei suoi giorni. Fu così, quasi per caso, che la sua voce e quel suo intimo e profondo senso per lo swing ne divennero lo specchio.
Billie si innamora del jazz, consuma i classici e insegue ogni singola nota di Louis Armstrong e di Bessie Smith. La sua non è una voce stentorea o di grande estensione ma riesce comunque a toccare corde profonde e intime in chi ascolta, scivolando magistralmente tra diversi registri e dizioni rotonde, quasi teatrali. Nelle sue interpretazioni non c’è spazio per la gioia o i ringraziamenti, per i sorrisi ed i bei sentimenti, ma vi aleggia piuttosto un velo malinconico e triste. Billie fa parte di un altro mondo. Ci sono le grandi interpreti, quelle dalla voce profonda, impostata, pastosa e piena, applaudite e celebrate in tutte le dance hall, e poi c’è lei che frequenta club fumosi e poco presentabili, scomoda e brusca, dalla voce unica, fragile e incerta, eppure così potente, empatica ed evocativa. Sarà proprio grazie a quella straordinaria e unica voce se Billie riuscirà per molti anni a rimanere in precario equilibrio sul baratro, pur affrontando tempeste e rovesci, venti poderosi e i soliti brutti scherzi del destino. Poi fatalmente, al primo incrinarsi di quel suo magico scudo, inizierà lentamente a vacillare, a esitare, ad arrendersi a quel crudo quotidiano fatto di albe e notti brave, di amori mancati e amarezze, di arresti ed applausi di spettatori diversi, eppure sempre uguali. La sua voce incerta sarà anche l’ultimo baluardo difensivo quando la vita le chiederà infine conto di tutti i dolori, i vizi, l’indolenza e le debolezze, quando l’oppio, il fumo e l’alcool non riusciranno più a lenire il dolore e quando ormai dalle sue maltrattate corde vocali uscirà poco più di un gracchiare ansimante e faticoso, sempre più prossimo al parlato. In questa sua rapida caduta, in quel costante deteriorarsi, in quell’arresa c’è tutta la sua grandezza e l’essenza, la commovente poesia e quella spettrale e magnetica disperazione che la consegnerà per sempre alle lacrime, alle emozioni e al cielo dei più grandi.