09 Mag Once in my lifetime: 12 maggio 1985
Talvolta nel singolare intreccio di storie, traiettorie e relazioni di cui si compongono le nostre frenetiche esistenze accadono cose difficilmente prevedibili, circostanze improvvise e imponderabili che lasciano per sempre il segno scuotendo corde intime e profonde. Ed è proprio grazie ad una di queste che sono stato invitato a partecipare ad un’operazione assolutamente speciale, quella della replica celebrativa delle storiche maglie dello scudetto gialloblu. Una maglia non è solo un oggetto, quanto piuttosto un’icona, un simbolo, un qualcosa di profondo che va tutelato e protetto a cui apparteniamo e che ci appartiene. Perché una maglia non rappresenta mai solo un club ed una squadra, ma ne custodisce l’anima, le speranze e le emozioni di una comunità, di una città intera, del corso di un tempo infinito, di un secolo e più di generazioni, nonni e padri, figli e nipoti, cresciute attorno ad un sogno.
Adept Sweden e Copa Football mi hanno chiesto di raccontare, nel leaflet allegato alle curatissime confezioni delle maglie e sul packaging dell’action figure del mitico Elkjaer, l’intenso tracciato delle emozioni di quella stagione, cercando di catturare il senso di quella storica impresa per restituirne, a distanza di anni, l’incanto, il fremito e, soprattutto, il significato più profondo.
Cose che capitano una sola volta nella vita. Come il vagito di un neonato o le lacrime di un distacco, come un esame o un incontro. Come quell’incredibile scudetto. Come un brivido. Lo stesso che ho provato passeggiando di notte, tra i ricordi, sugli spalti di un Bentegodi silenzioso, deserto e illuminato a giorno, come nelle magiche notti di Coppa. O come quello che mi è più volte scivolato lungo la schiena mentre ascoltavo le parole del “Mister”, mentre raccoglievo il vivido racconto di un calcio diverso e antico che, da anni a questa parte, si è dimostrato un buon compagno di viaggio. Raccontare questa esperienza significa mettere rispettosamente assieme storia, emozioni e passione. Quella stessa che ho visto negli occhi di Nico Penzo e Sergio Guidotti dell’A.S.D. Ex Calciatori Hellas Verona e che mi guardava dalle magnifiche foto appese alle pareti della loro sede. La stessa che ha guidato la genesi di un progetto come questo, magistralmente curato sin nei minimi particolari.
Sapere che le mie parole accompagneranno quelle magiche maglie in una ricorrenza così speciale è motivo, non lo nascondo, di grande orgoglio. Non solo per i sentimenti profondi che mi legano a quell’evento, ai colori gialloblu e ai brividi che quella squadra scatena, ancora oggi, a trent’anni di distanza, ma anche per l’appassionato respiro che ha fatto di questa iniziativa un’operazione culturale di memoria e appartenenza.
L’aver potuto intervistare il “Mister” Osvaldo Bagnoli in una notte incantata di stelle, sotto la volta magica del Bentegodi, nell’accogliente sede dell’A.S.D. Ex Calciatori Hellas Verona, rimarrà per sempre nel mio cuore. Il clip che ne è uscito, grazie al brillante lavoro di Adept, all’ideatore e anima del progetto, Giuliano Garonzi, a Masiar Pasquali, Pietro de Tilla, Marcello Parisi e alle musiche dei Veivecura è una piccola grande scheggia emotiva che mi auguro possa contribuire ad illuminare ancora di più il cielo sopra il Bentegodi, trasmettendo a figli e nipoti le gesta, i sapori e i profumi nascosti di quel calcio.
Per quello che mi riguarda è come se il destino fosse tornato sui suoi passi concedendomi singolarmente la possibilità di saldare i conti rimettendo in circolo un po’ di quella stessa magia che ci fu a suo tempo regalata. A quell’incredibile squadra, al suo straordinario “Mister” e a quel grande gruppo di calciatori, va quindi tutta la mia gratitudine, non solo per un’impresa sportiva che comunque rimarrà per sempre unica e irripetibile, ma anche per averci idealmente regalato tutto quello che il calcio è stato, che è e che dovrebbe sempre essere.
Uno speciale ringraziamento va all’Hellas Verona FC e all’A.S.D. Ex Calciatori Hellas Verona, preziosa custode del nostro passato come del nostro futuro. Perché poi, al fine di tutto, quello che conta nelle nostre flebili e fragili esistenze è sempre quello che ci lasciamo alle spalle e che possiamo affidare, se abbiamo anche un pizzico di buona sorte, a chi avrà la fortuna di rimanere nella nostra scia.
“Quello scudetto non è passato. Quello scudetto è oggi. Ci rimane attaccato. È ancora lì, a rammentarci che non bisogna mai smettere di sognare. Lo scudetto dell’Hellas Verona 1984-85 è tutto questo e anche molto di più. La sua storia, quella stupefacente teoria di risultati e vittorie, costruita giornata dopo giornata, è la nostra storia, un infinito intreccio di traiettorie umane che hanno respirato quelle emozioni nella consapevolezza che non si sarebbero mai più ripetute. Perché sarebbe stato solo per una volta, una sola volta nella vita.”