14 Mag Once in a lifetime: David Byrne
Il 14 maggio 1952 nasce a Dumbarton, in Scozia, David Byrne, di professione musicista, compositore e produttore discografica. Dei tanti bizzosi talenti che presidiarono la frontiera musicale nei febbrili anni a cavallo tra punk e post-punk, Byrne fu certamente il più singolare e sorprendente. Non tanto per la felice e intrigante intuizione sperimentata con i Talking Heads di tenere assieme ritmi pulsanti e chitarre artistiche o per la sua evidente statura intellettuale, quanto piuttosto per una bizzarra e grottesca attitudine di fondo, quella camaleontica nevrosi post-moderna che ne farà, sin dalla prima uscita su di un palco, una sorta di immortale icona dei suoi tempi.
David ha avuto il grande pregio di rimanere sempre fedele al perimetro originario giocando con canoni e convenzioni e alimentando quella sua aura di sfuggente genio del contemporaneo. Perché, nonostante il crescente e consolidato successo, David è rimasto a vigilare la frontiera e a fare il pioniere, quello che apre strade, che sperimenta, che mescola ingredienti e sapori diversi, che riconosce al volo il talento negli artisti più giovani, che gioca con nonsense, creatività e tutte le dimensioni dell’arte. In oltre quarant’anni di onorata carriera David non è mai caduto nella trappola del riciclo, non si è mai lasciato andare alla disperazione della citazione, mantenendo invece ostinatamente integro lo spirito degli esordi, quella sua attitudine spietata e amabilmente cinica per il mondo che ha attraversato, sfuggendo alla noia di qualsivoglia celebrazione. Per questo motivo, la sua anima inquieta, curiosa, nevrotica e ironica rimane ancora oggi un riferimento imprescindibile per tracciare qualche nuova rotta od inseguire lo sviluppo delle nuove traiettorie.
“La musica ci parla – di come ci sentiamo e di come percepiamo il nostro corpo in termini sociali, psicologici e fisici – in modi che alle altre arti sono preclusi. A volte è affidato alle parole, ma altrettanto spesso il contenuto dipende da una combinazione di suoni, ritmi e trame vocali che comunicano, come è già stato detto da altri, in modi che escludono i centri razionali del cervello e vanno dritti alle nostre emozioni. La musica ci dice come le persone vedono il mondo – persone che non abbiamo mai incontrato, a volte non sono più in vita – e lo fa in modo non descrittivo. La musica incarna il modo in cui queste persone pensano e provano emozioni: entriamo in nuovi mondi – nei loro mondi – e anche se la nostra percezione potrebbe non essere esatta al cento per cento tali incontri possono trasformarci completamente. (..) In questo strano mondo l’artista famoso non può sbagliare eppure sbagliare è fondamentale per aprire porte e chiudere quelle che non portano da nessuna parte.”