15 Mag Once in a lifetime: Elio De Angelis
Il 15 maggio 1986 muore a Marsiglia Elio De Angelis, di professione pilota automobilistico. Aveva avuto un onore assoluto, una cosa che ben pochi piloti hanno potuto annoverare. Perché Elio era entrato nel ristretto club della Lotus, andando idealmente a raggiungere fuoriclasse del calibro di Clark, Andretti, Peterson, Fittipaldi e Rindt. Perché la sua carriera da corsa era stata, infatti, battezzata da Colin Chapman, il più folle dei visionari che abitavano la Formula Uno di quegli anni.
Chapman lo aveva visto esordire nel 1979 con la Shadow. Lì Elio era approdato dopo una serie infinita di promesse, dopo un contratto stracciato da Ken Tyrrell, una lunga causa e una serie di incoraggianti contatti con la Brabham di Ecclestone e la Ferrari. Colin lo aveva seguito attentamente e ne aveva riconosciuto il talento e la determinazione. Nonostante la DN9 non fosse all’altezza del resto del lotto, Elio, infatti, riusciva a spremerne il meglio. Merito di una notevole grinta e di uno stile di guida aggressivo ed efficace. In quella sua prima stagione era riuscito, addirittura, ad arrivare quarto a Watkins Glen, in un Gran Premio bagnato ad eliminazione, dove solo nove monoposto su trenta riuscirono a tagliare il traguardo. Colin raramente sbagliava sui piloti, su quella strana gente che, proprio come Ferrari, tollerava a malapena, giusto perchè magari finivano per portare le sue vetture sul gradino più alto del podio. Colin aveva capito di che pasta era fatto Elio e lo aveva portato alla Lotus, per un anno e senza paga, giusto per tenere fede alla sua ruvidezza. In realtà l’operazione non era stata indolore, perché per strapparlo alla Shadow aveva dovuto sborsare fior di quattrini. Nemmeno De Angelis, comunque, andava tanto per il sottile. Non era certo uno che tentennava. Amava le cose belle, suonava il pianoforte, conosceva Gershwin come le sue tasche, ma quando era il momento di calarsi in un abitacolo non conosceva ostacoli. Con la Shadow si era dovuto pagare l’intera stagione, sborsando qualcosa come venticinquemila dollari a gara. Elio era andato per sponsor e alla fine era riuscito a mettersi al volante della vettura inglese. Sapeva che quella era l’occasione della vita, quella che gli avrebbe cambiato il destino. Così fece, e, in effetti, il suo destino cambiò.
Quello con la Lotus fu il suo vero esordio nonostante Elio avesse già vinto parecchio nelle formule minori. Con la scuderia inglese correrà per ben sei stagioni, rimanendo sempre nelle posizioni di rilievo, appena dietro i più forti. Poi finalmente arrivò anche il suo turno e in un caldo ferragosto austriaco riuscì a staccare il suo primo successo, leggendario e sudatissimo, litigando con il cambio e resistendo agli attacchi di un arrembante Rosberg. Quello fu anche l’ultimo successo di Chapman che scomparve improvvisamente qualche mese più tardi. Elio rimase a guidare per la Lotus ottenendo sempre piazzamenti di prestigio e centrando nel 1985 a Imola il suo secondo successo, in una stagione comunque tribolata e difficile anche per l’apparire sulla scena di un giovane pilota brasiliano veloce e grintoso di nome Ayrton Senna.
Fu per questo e per la chiara convinzione che non sarebbe stato lui la prima guida nella stagione successiva che, alla fine, Elio salutò la Lotus per imbarcarsi nell’avventura della Brabham. Gordon Murray tenta l’azzardo e disegna per quella stagione la BT55, una vettura talmente bassa e piatta da essere soprannominata “sogliola”. E’ un bolide pesante, difficile e troppo audace per quei tempi che costringe i tecnici della BMW a riprogettare il motore per inclinarlo di diversi gradi sino a farlo entrare nel telaio. Alle prime prove, però, la verità viene a galla in tutta la sua evidenza. Quel progetto è un disastro e la monoposto avrà bisogno di girare molto in pista prima di trovare un assetto dignitoso.
E’ in uno di questi test privati, a Le Castellet, che Elio trova purtroppo il destino ad attenderlo. In quella mattina del 14 maggio 1986 i meccanici montano sulla sua vettura una nuova ala posteriore per cercare di schiacciare la monoposto al suolo recuperando qualche centesimo di ritardo sulla concorrenza. Ma qualcosa non va e poco prima della nuova esse l’alettone si stacca dalla BT55 che decolla in pieno rettilineo a quasi trecento chilometri orari rimbalzando più volte tragicamente lungo il tracciato sino a prendere fuoco. La colpevole disorganizzazione dei gestori dell’autodromo francese fa il resto. In quel punto della pista non c’è alcun addetto e i soccorsi impiegano un’eternità per giungere sul luogo dell’incidente. Elio rimane intrappolato nel fuoco riportando gravissimi traumi alla colonna vertebrale. Morirà, nello sconcerto generale, all’ospedale di Marsiglia il giorno seguente. Termina così, per una coppia di fragili bulloni e le conseguenze di un progetto drammaticamente sbagliato, la parabola di un pilota di grande talento, un ragazzo di ventotto anni generoso e corretto che aveva imparato a fare sempre da solo, senza scomodare mai nessuno. La Formula Uno di quegli anni, già troppo occupata a fare di conto con diritti e licenze televisive, lo saluta frettolosamente, preoccupata delle polemiche legate alla scarsa sicurezza delle sue gare e dei suoi test. Ma l’asfalto non dimentica e, pur a distanza di quasi trent’anni, Elio rimane ancora stabilmente nel cuore dei tanti colleghi e degli appassionati.