23 Mag Once in a lifetime: Dino Sani
Il 23 maggio 1936 nasce a San Paolo del Brasile Dino Sani, di professione calciatore e allenatore. Di quella straordinaria stagione di oriundi Dino fu certamente il più elegante. Nato mezzala e successivamente diventato regista, Sani era la quintessenza di un calcio antico e artigiano, tecnico e tattico, sempre bello a vedersi. In campo raramente correva e quando vi era costretto lo faceva di conserva, al piccolo trotto. Dino non contrastava l’avversario e quasi mai si sacrificava a contenere gli avanti opposti, ma, ciò nonostante, aveva un eccezionale pregio, una specie di dote magica. Perché Dino sapeva sempre esattamente dove sarebbe andata la palla e, soprattutto, dove avrebbe dovuto spedirla quando gli fosse finita tra i piedi.
L’apporto e il sostegno che non dava ai compagni della difesa veniva sempre ampiamente compensato dalle sue prodezze balistiche, dai mirabili lanci di trenta e più metri con cui apriva agli attaccanti vasti corridoi verso la porta avversaria. Sani era l’icona vivente del regista, la prova che per giocare a football i polmoni e i muscoli non erano così determinanti. Perché è sempre la palla che deve viaggiare più veloce dei giocatori. Dino fece la fortuna di molte magiche formazioni di quegli anni, dal Palmeiras al San Paolo, con la cui maglia conquistò un titolo Paulista, dal Boca Jrs al Milan, dove arrivò nei primissimi anni sessanta per sostituire il discontinuo Greaves.
Sani non aveva propriamente il fisico dell’atleta. Basso, esile e calvo, assomigliava più ad un impiegato del catasto che a un calciatore, ma in campo la sua classe era assolutamente impareggiabile. Con lui i rossoneri diventano una squadra vera. Dino è il giocatore ideale per gli schemi del Paron e i suoi arcigni blocchi difensivi. Con Sani Rocco trova infatti il perfetto punto di equilibrio su cui giostrare difesa e attacco. E’ suo il piede che innesca gli attaccanti, suoi i diagonali che tagliano tutto il campo affidando a un giovanissimo Rivera palloni buoni da mettere sui piedi di Schiaffino e Altafini. Il “pelat” è perfetto in quel ruolo. Per lui il calcio è una delicata questione di prospettive, di profondità e geometrie, di passaggi e lanci lunghi. Quando si accomoda a centrocampo lo spettacolo è servito. Il Golden Boy cresce nella sua ombra, ne studia attentamente le mosse e ne impara a memoria tempi e trucchi.
Con lui in cabina di regia i rossoneri vincono un campionato ed una memorabile Coppa dei Campioni, battendo il Benfica di Eusebio, Torres e Coluna nella finale di Wembley. Dino possiede una naturale visione di gioco che lo salva anche nelle situazioni più critiche e gli permette sempre di dare efficacia e consistenza a ogni manovra frustrando ed eludendo anche le marcature più fisiche ed aggressive. Sani è l’incontrastato re del centrocampo, l’esteta del controllo palla, l’agile acrobata delle triangolazioni strette.
E’ intelligente, costante ed ha un grande senso della posizione. Ai tifosi rossoneri ricorda Gren, alle donne milanesi i baffetti volitivi di Clark Gable. La sua presenza in campo garantisce sicurezza a tutti i reparti assicurando continuità di gioco e risultati. Nonostante la scarsa velocità quando la palla finisce tra i suoi piedi sono dolori. Dino non segna molto ma realizza gol importanti e straordinariamente belli. Dopo tre belle stagioni con la maglia rossonera torna in Brasile, sponda Corinthians, e dopo la chiusura della carriera si accomoda sulle panchine di molte squadre brasiliane diventando uno dei più apprezzati allenatori carioca. Fu anche uno dei protagonisti della conquista brasiliana del titolo mondiale in Svezia. Giocò le prima due partite nella magica selecao di Pelè, Didi, Vavà e Manè Garrincha prima di cedere il posto a Zito.
Così lo ricordava il sommo Brera: “Trottignava, il mediano avversario lo saltava puntualmente, e lui seguiva corricchiando a distanza: quando la difesa riconquistava palla, il disimpegno era per lui, del tutto libero alle spalle del proprio avversario diretto: Dino controllava allora con maestria e subito lanciava alle punte.”