11 Giu Once in a lifetime: Tom Pryce
L’11 giugno 1949 nasce a Rhuthin, paese gallese di non più di quattromila anime, Thomas Maldwyn Pryce, di professione pilota automobilistico. Tom la velocità ce l’aveva nel sangue. Era arrivato alle corse che contavano facendosi tutta la gavetta. Veniva dai gironi infernali delle formule minori, dove aveva imparato come si spremono meccaniche e motori spingendoli al limite e, se possibile, anche oltre, giusto per guadagnare qualche metro in più, quello decisivo sul rettilineo d’arrivo. Tom correva per dare una diversa prospettiva alle cose e alla sua vita. Correva per vincere e per provare ad ingannare la sorte, per pararne i tiri più mancini. Ma, singolarmente, la sua radiosa carriera fu interrotta proprio per un tragico effetto domino, per un beffardo e atroce giro di dadi. Perché la giovane vita di Tom Pryce si spense, nell’infinito fremito di un battere di ciglia, per colpa di un commissario di gara, della sua improvvida decisione e di un estintore, uno di quegli strumenti che in pista ha spesso salvato le fragili vite dei grandi piloti.
Fuori dall’abitacolo Tom era un ragazzo timido, mite e responsabile, posato e tranquillo. Suo padre faceva l’agricoltore. Probabilmente quella sarebbe stata anche la sua strada se non gli fosse riuscito di vendere la vecchia Mini verde per racimolare i soldi necessari per partecipare alle Daily Express Crusader Series, un campionato dedicato alle promesse dell’automobilismo britannico. Pryce veniva da un ambiente semplice e rurale, non disponeva di rendite, non faceva la bella vita, e, soprattutto, non aveva alle spalle nessun parente facoltoso e influente da cui farsi regalare qualche buon ingaggio o il capriccio delle corse d’auto. Si spostava per gli autodromi a bordo della sua vecchia MG e finiva spesso per dormire sulle brande dei meccanici sul fondo dei box. Perché per Pryce la velocità non aveva prezzo: era semplicemente tutta la sua vita e per nulla al mondo vi avrebbe rinunciato.
Aveva imparato a guidare sui trattori di famiglia. Tom domava quegli ingombranti bestioni con sorprendente agilità, quasi fossero un’utilitaria. Per questo era diventato famoso in tutto il circondario, per via di quei suoi temerari passaggi per le piazza cittadine. Quando avvertivano, in lontananza, l’eco del ringhio grintoso dei fuori giri e delle rabbiose scalate, i compaesani si precipitavano fuori dal pub per applaudire le sue prodezze e gli interi cicli di fumanti testacoda che regalava al loro divertimento. Tom sviluppò in quegli anni il suo talento. Quella stretta vicinanza alla terra ne avrebbe fatto uno specialista della derapata, un mago del bagnato.”Mal” sapeva sempre dove infilare le ruote anteriori delle auto che pilotava. Era un maestro nel metterle sulla traiettoria migliore e nel tenerle incollate ai fondi stradali più scivolosi, lavorando con continue e nervose correzioni del volante al fine di recuperare aderenza e tenere così la vettura in strada. Il tutto, ovviamente, senza mai toccare i freni e spingendo invece, per tutto contro, il pedale dell’acceleratore sino a fine corsa. Sarebbe sicuramente diventato un asso dei rally se non avesse subito l’irresistibile richiamo della pista.
La sua fu una carriera straordinaria e promettente che gli permise di passare, in soli quattro anni, dalla Formula Ford alle “Super Vee”, dalla Formula 3 alla Formula 2 con il Motul Rondel Racing di Ron Dennis. Nel 1972 a Brands Hatch, in Formula Tre, al volante di una spompata Royale RP11, con un motore a prestito, rifila la bellezza di quindici secondi al resto del lotto, a gente veloce e talentuosa come Hunt, Mass, Williamson e Brise. Lo notano in tanti. Alan Rees, vecchio capitano di lungo corso, gli offre finalmente un volante competitivo, buono per fare bella figura e tentare il salto di qualità. Con la March 743 Pryce domina le prove del Gran Premio di Montecarlo di Formula Tre conquistando la pole position e distaccando tutti gli altri piloti di quasi due secondi, un’inaudita eternità.
Sono proprio quelle stupefacenti prestazioni ad assicurargli un ingaggio in Formula Uno con la Shadow, dove rimarrà sino alla fine della sua breve e intensa parabola. La nera e sinuosa DN5 si dimostra da subito una monoposto veloce e nervosa. È come piace a lui. Peccato solo per la scarsa affidabilità e una crescente fragilità meccanica che ne comprometterà il piazzamento finale. Nelle sue mani la monoposto nera diventa un bolide temibile. Per quella sua guida estrema e spettacolare Pryce viene più volte paragonato a Ronnie Peterson. Per la stampa il gallese ha lo stesso tocco, la stessa classe e lo stesso stile.
La Shadow è però una strana e instabile galassia in continua espansione. Nei tre anni che rimane in scuderia Tom ne vede di tutti i colori. Quel sodalizio è infatti scosso periodicamente da abbandoni e avvicendamenti, da matrimoni e improvvisi divorzi, da autorevoli sponsor che stracciano contratti sbattendo la porta e da tecnici che scompaiono nel nulla. Tra le altre cose spunta persino una loschissima spy-story che vede coinvolti i vertici della scuderia, ex agenti delle agenzie governative americane e discussi faccendieri italiani. In questo mare in continua tempesta, Tom mantiene la sua serafica e proverbiale calma. Pensa a pilotare e cerca di intuire dove andrà a parare il futuro prossimo.
Il 5 marzo del 1977 a Kyalami va in scena il Gran Premio del Sud Africa. E’ il terzo di una stagione che si preannuncia più dura e difficile del previsto. La DN8 non risulta, infatti, all’altezza delle aspettative. Tom si rassegna a lottare per le posizioni di rincalzo in fondo al gruppo. Anche Kyalami non fa eccezione. Pryce “litiga” per diverse tornate con Stuck e Mass. Battaglia, come al solito, al meglio delle sue possibilità cercando spazio e ossigeno in quella bagarre. Al giro numero ventidue la Shadow gemella di Renzo Zorzi accosta a bordo pista con il motore in fiamme. Dalla parte opposta della carreggiata la scorgono due giovani commissari di pista che, per un lungo istante si guardano chiedendosi cosa fare. La direzione ha impartito loro sommarie e insufficienti indicazioni. Si scambiano un muto cenno di assenso raccogliendo da terra gli estintori.
Così, i due decidono, del tutto improvvidamente, di attraversare di corsa la pista per andare a spegnere l’incendio. Purtroppo lo fanno, con drammatico tempismo, proprio mentre sul rettilineo transita quel veloce treno di monoposto. Il primo dei due riesce ad attraversare, l’altro, il più giovane, un ragazzo di soli 19 anni che di lavoro fa il bibliotecario, no. Stuck riesce incredibilmente a schivarlo mentre Pryce, che sopraggiunge alle sue spalle, non ha la medesima fortuna e se lo ritrova davanti al muso ad oltre duecentosessanta chilometri all’ora. L’impatto e’ devastante. Jansen Van Vuuren muore sul colpo. Il suo corpo martoriato viene scagliato in aria per decine di metri, mentre il suo estintore, una bomba di quaranta libbre, finisce invece per centrare in pieno il casco del pilota gallese. Tom non ha nemmeno il tempo di rendersi conto di quello che sta accadendo. Scorge solo quella strana sagoma scura, spalanca gli occhi e attende che il suo orizzonte precipiti tragicamente nel buio. Per sempre.