10 Ago Once in a lifetime: Giovanni Lodetti
Il 10 agosto 1942 nasce a Caselle Lurani, piccolo centro della Bassa Lodigiana, Giovanni Lodetti, di professione calciatore. Quella di Giovanni è una storia dolce e amara, la stessa di chi ha spesso dovuto fare i conti con gli scherzi di un destino mai amico. Quella di Lodetti è la storia di un sogno, una successione di tram presi al volo e di altri persi per qualche involontario contrattempo o qualche imperscrutabile gioco del destino.
“Basléta”
Sui campetti della parrocchia per tutti era “basléta” per via del mento volitivo e sporgente. Giovanni faceva il mediano. Nel centrocampo di quelle ere tattiche quel ruolo faticava a guadagnare le prime pagine dei quotidiani ma, ciò nonostante, rimaneva tra i più strategici. Lo sapevano gli allenatori, che, per far girare al meglio i registi e le punte, dovevano trovare saldi ancoraggi e punti di equilibrio davanti alle difese. Per stare in mezzo al campo servivano buoni polpacci e grossi polmoni, servivano per tappare i buchi ed evitare di prendere sberle al primo contropiede avversario. E, tra molte altre cose, serviva anche tanta testa, perché la palla bisognava farla girare senza far torto a nessuno, alla panchina come ai compagni. A Lodetti facevano fare il mediano, ma lui non si limitava ai compiti che gli impartivano. Giovanni ci metteva sempre del suo perché era un giocatore completo, uno di quelli che magicamente stava sempre dove doveva essere. Quella sorta di ubiquità l’aveva conquistata con il sudore e l’attaccamento. Perché per la sua generazione il calcio era qualcosa più di uno sport o un passatempo; era un’opportunità, una chance incredibile, il futuro per quei giovani calciatori cresciuti con niente e nulla attorno. In campo Giovanni si sacrificava volentieri per gli altri e non sprecava mai, né un sorriso né una palla. Faceva tutto parte del suo carattere. Giovanni correva tantissimo, sapeva coprire e chiudere, anche con decisione quando le circostanze lo richiedevano. Oltre a tutto questo Lodetti aveva anche la straordinaria capacità di fare alzare la squadra, di guidarne i movimenti e seguirne, palla al piede, i movimenti, uscendo dalle situazioni più complicate al momento giusto, per guadagnare metri preziosi e liberare le punte. Perché il Giovanni da Caselle Lurani preparava la scena alle giocate da brivido dei più grandi, di gente come Rivera, Altafini e Mora, a cui fece da splendida ed efficace spalla.
Un radioso futuro
Lodetti aveva davanti a se un radioso futuro. Era arrivato alle giovanili del Milan nel 1960. C’era arrivato in pulman dalla Lodigiana senza clamori e senza ingaggio e da lì aveva cominciato a crescere. In soli due anni si guadagna l’attenzione di Rocco e Viani che già nel 1961 lo chiamano ad integrare i ranghi della prima squadra. In otto stagioni scenderà in campo duecentosedici volte. Lodetti diventa così un punto fermo del Milan di Rocco, una pedina fondamentale, di grande forza ed efficacia. Fu quella straordinaria continuità ad aprirgli le porte della nazionale. Nell’estate del 1970 Lodetti è tra i ventidue che partono per il Messico per disputare il campionato del mondo di calcio. I suoi piedi e la sua testa sarebbero risultati ben utili in mezzo al campo. Quelli messicani potevano essere i suoi mondiali, la sua consacrazione. Ma il destino aveva altri piani in serbo per lui. Succede infatti che Anastasi si infortuna ed al suo posto Valcareggi chiama dall’Italia due giocatori, Prati e Boninsegna. La selezione italiana sale a 23 giocatori: uno di loro dovrà tornare a casa. All’inizio si pensa ad uno degli ultimi due arrivati, ma po subentrano altre valutazioni.
Un maledetto imbroglio
Lodetti viene rassicurato da tutti i tecnici, dal vice Bearzot e dagli altri. Nell’imminenza della scadenza del termine per la comunicazione alla Fifa della rosa ufficiale lo chiama la moglie dall’Italia spiegandogli che sui giornali è uscito il suo nome, lo danno per certo. Lodetti è sbalordito. Non può credere che quello sia un maledetto imbroglio. Ma i giornali non sbagliano. All’ultimo momento i funzionari azzurri lo chiamano e gli spiegano che purtroppo non c’è più spazio per lui. Dispiace molto a tutti. Comunque grazie lo stesso, sarà per la prossima volta. Così Giovanni torna a casa da solo e con un’amarezza epocale chiedendosi il perché di quella svolta. I veri motivi verranno a galla molto tempo dopo e non saranno del tutto edificanti. Perché ne uscirà fuori che il Lodetti era rimasto fuori per colpa dei soliti giochini, per via di una vischiosa operazione di mercato. La società rossonera lo aveva infatti ceduto alla Sampdoria per arrivare ad una giovane promessa di nome Benetti e non era quindi disposta ad accordargli più alcuna “protezione istituzionale”. Giovanni era stato sacrificato sull’altare delle convenienze e degli equilibri tra grandi squadre. Era stato scartato per motivi piccoli e meschini, all’ultimo istante, senza convenevoli o stile.
“Ceramica”
Nonostante l’amara delusione, Lodetti continuò a giocare buon calcio, non più per conquistare la Coppa dei Campioni ma per cercare di arrivare alla fatidica salvezza. Dopo Genova, arrivarono altre due piazze importanti come Foggia e Novara. Tante partite, tanti applausi e tante pacche sulle spalle. Ma ormai la ruota del destino aveva fatto il suo giro. Giovanni non smise mai di correre, nemmeno dopo il ritiro dall’attività avvenuto nell’estate del 1978. Gli era venuta la fregola di fare ancora quattro tiri per combattere la noia, per capire quanto gli s’accorciava il fiato, per sentirsi ancora vivo. Al parco ci andava tutte le domeniche non solo a fare una corsetta ma anche a vedere i ragazzotti contendersi il pallone su quel campo di fango e pozzanghere. E così una mattina più leggera di altre vede che in campo manca un uomo ad una delle squadre e butta lì al portiere che se vogliono un vecchietto con po’ d’esperienza lui c’è. Gli fanno cenno di entrare, gli danno una casacca e così finisce, ancora una volta, che è lui ad impartire a tutti lezioni di calcio e stile. Al Trenno lo chiamano “Ceramica” per via della scritta sulla sua maglietta. Lui incanta i compagni di squadra e si diverte a rincorrere il pallone con quello stesso indomito spirito che aveva animato i suoi esordi. Poi un bel giorno di primavera un vecchio tifoso rossonero che portava in giro i suoi anni e l’adorata cagnetta, lo riconosce e fila dallo stesso portierino a chiedere cosa mai ci faccia in campo il Giovanni Lodetti da Caselle Lurani. Il portierino lo guarda stralunato e gli chiede: “E chi sarebbe mai ‘sto Lodetti?”.