09 Feb Once in a lifetime: Rinus Michels
Il 9 febbraio 1928 nasce ad Amsterdam Marinus Jacobus Hendricus Michels, di professione calciatore e allenatore. Il suo nome si lega ad una delle più importanti rivoluzioni tattiche dell’arte pedatoria. Perché il suo è stato un calcio innovativo, concreto e ispirato, che masticava promesse e fantasia, forza e talento. Quel pallone che finiva regolarmente nel sacco della porta avversaria raccontava una nuova e avventata idea di football, un’eccitante filosofia calcistica che ruotava attorno ad una vertigine futuristica. Il suo calcio segnerà così un’intera epoca. Su quella magica frontiera transiteranno una generazione di straordinari giovani campioni ed una nuova rappresentazione della realtà.
Il padre del “calcio totale”
Il calcio e la sua affascinante storia sono estremamente grati a Rinus per aver resistito alle lusinghe del “buen ritiro” che lo avevano blandito all’indomani della fine di una lunga ed onorata carriera di calciatore, trascorsa, come prolifico attaccante, nelle fila dei Lancieri di Amsterdam. Anziché rassegnarsi all’idea di una vita da istruttore di atletica, Rinus decise infatti di provare ad andare a sedersi in panchina per trasmettere ai giovani la sua lunga esperienza. Michels aveva idee chiare e qualche buona intuizione che si era andata consolidando nel corso degli anni. Certo, però, mai avrebbe pensato che quella sua scelta avrebbe finito per cambiare il volto al calcio. Così però accadde e Rinus divenne l’assoluto protagonista di una stagione, il simbolo del “Calcio Totale” nonché il principale ispiratore della “soft revolution” dei Tulipani, quella che buttò all’aria decenni di certezze rimettendo al centro di tutto l’uomo, il calciatore e la sua velocità.
Nascita di una rivoluzione
Spesso le innovazioni più dirompenti, quelle destinate ad incidere radicalmente sul corso delle cose, maturano lentamente nell’ombra prima di esplodere alla luce. Le intuizioni più epocali mettono talvolta radici profonde producendo germogli che sono destinati ad essere raccolti da altri, in una sorta di ideale passaggio di testimone. Anche i temi di quella rivoluzione calcistica erano il frutto di una lunga gestazione e le idee di Michels avevano padri e natali lontani. Il calcio olandese degli anni Cinquanta e Sessanta non era niente di speciale. Sotto una patina di ordinaria normalità, però, qualcosa stava muovendosi. La prima scintilla giunse da lontano, da campi infangati e dall’indomito spirito dei pionieri. Il merito fu di due signori inglesi con la passione per quel football d’attacco che continuava a strappare applausi sui campi britannici. Il leggendario Jack Reynolds, prima, e Vic Buckingham, poi, guidarono, infatti, l’Ajax per diverse stagioni predicando un salutare cambio di mentalità. Il credo di Jack è estremamente semplice ed efficace. Reynolds suggerisce di sciogliere le barricate e spiega ai suoi giocatori che è necessario attaccare per difendere, che è fondamentale curare la tecnica individuale e il controllo palla per mantenerne il possesso, per nasconderla all’avversario e farla girare velocemente con passaggi filtranti e precisi. Il vecchio Jack semina per anni quella brillante filosofia e attende paziente. Il raccolto sarà formidabile.
Spazio e profondità
Rinus fece tesoro di tutte quelle straordinarie lezioni. Michels si mette a studiare attentamente il calcio giocato dalla grande Austria negli anni Trenta e dall’Ungheria nei Cinquanta e chiede ai suoi giovani talenti di rovesciare ogni schema e rigidità con un unico obiettivo: controllare il terreno di gioco. Il primo “calcio totale” assomiglia, almeno sulla carta, ad un piano di battaglia. Quel pensiero si ispira a pochi e semplici principi che hanno a che fare con lo spazio e la profondità. Nel calcio di Michels non esistono più ruoli rigidi. Le posizioni dei giocatori possono e debbono infatti vorticosamente mutare confondendo l’avversario mentre il campo diventa un territorio da controllare e presidiare con un pressing asfissiante. Michels lavora sino alla sfinimento sui meccanismi e sulla sincronia dei movimenti. Proprio questi diverranno il suo marchio di fabbrica. Le sue squadre praticheranno tutte un calcio offensivo di grande dinamicità. Per molti è solo una visione militare del gioco, per altri, invece, un atto di intima e brillante ribellione. Ma, in realtà, in quel suo nuovo modello c’è ben di più.
Il gioco di squadra
Il gioco di Michels punta, infatti, tutto sulla qualità del rapporto tra i giocatori che vanno in campo e premia quella che oggi tutti chiamano la forza del collettivo. La vera scommessa di Michels nasce fuori dal terreno di gioco. La sua visione si fonda su una basilare questione di fiducia, di spirito di sacrificio, adattamento e solidarietà. Il pensiero di Rinus è lungo. Perchè se sei sempre in movimento, se lasci il tuo settore di gioco, se mantieni a lungo il possesso palla, devi poter sempre contare sugli altri, devi fidarti dei tuoi compagni perchè solo loro potranno coprire la tua zona e le tue spalle. E’ un rapporto di scambio e condivisione, è una nuova società egualitaria dove tutti contribuiscono in egual maniera al risultato finale, dove ognuno è fondamentale ma nessuno risulta indispensabile. Tranne Cruyff, ovviamente.
La scalata al successo
All’inizio Rinus deve “oliare” le macchine registrando i meccanismi. Mette in conto qualche caduta. Finisce per rimediare qualche sonora lezione, come il 4 a 1 buscato dal Milan di Rocco nella finale di Coppa dei Campioni nel 1969, ma poi l’Ajax comincia a vincere e non si ferma più. Nei sei anni in cui siede in panchina, dal 1965 al 1971, Rinus conquista 4 titoli e una Coppa dei Campioni prima di passare al Barcellona, dove porterà a casa un altro titolo. Con la Nazionale Oranje Rinus sfiora la vittoria nel Campionato del Mondo tedesco del 1974 e si aggiudica il titolo continentale nel 1988. Nonostante tutti lo chiamassero “Generale” per via dello stile diretto, autorevole e deciso, Michels fu sempre benvoluto da tutti i giocatori che allenò. A loro si ostinava a suggerire di non cercare mai la gloria né di tentare di forzare la mano alla fortuna, ma piuttosto di fare sempre le cose nel miglior modo possibile, perchè, come diceva il suo giovane discepolo Johan Cruyff, “il calcio deve essere sempre giocato nel modo più bello e piacevole possibile”.