11 Apr Once in a lifetime: Renato Cesarini
L’11 aprile 1906 nasce a Senigallia Renato Cesarini, di professione calciatore. Ci fu un tempo ormai remoto in cui le partite rimanevano in equilibrio in ragione di rigidi schemi. I confronti, complici anche regole che favorivano le difese più ciniche e arcigne, si trascinavano infatti sino agli ultimi minuti di gioco in un vortice di mosse e contromosse che spegnevano speranze e differenze. Il gioco, quando non si affidava a decisivi spunti individuali, finiva spesso ben prima dello scoccare del fatidico novantesimo minuto. In quel calcio fatto di sudore, fatica e polmoni l’avvicinarsi del fischio finale sembrava solo un’ineluttabile formalità, l’ultimo atto di una pratica già pronta per l’archivio.
Italiano d’Argentina
Le cronache erano zeppe di risultati che non variavano mai all’approssimarsi di quegli ultimi giri di orologio, in quegli ultimi minuti che separano le squadre dallo spogliatoio come dal destino. Buon senso voleva che il match, per i più diversi motivi, terminasse ben prima del fischio finale. In quel calcio il novantunesimo minuto non era ancora stato inventato. Ma, d’un tratto, la situazione cambiò. Il merito non fu di qualche innovazione regolamentare, che di lì a poco avrebbe comunque fatto piazza pulita di tutta quella severità difensiva, ma bensì dell’irruento e scoppiettante irrompere sulla scena delle singolari gesta calcistiche di Cesarini Renato da Senigallia, colui che risolveva regolarmente le partite negli ultimi minuti. Renato era un italiano d’Argentina. La sua famiglia aveva sfidato le onde dell’Oceano Atlantico a bordo di un piroscafo quando ancora doveva compiere nove mesi. I Cesarini erano finiti “al di là dell’acqua” a cercare fortuna riparando suole e tacchi e tagliando pane e formaggio, e lui era cresciuto nelle strade dei barrios di Buenos Aires aiutando il padre nel suo lavoro. Renato aveva però un occhio di riguardo per la bellezza e non mancò di lasciarsi affascinare dal volteggiare degli acrobati da circo come dal fare a pugni con bulli e prepotenti. Ma nel giovane immaginario di Cesare c’era spazio anche per il pallone, i cui bislacchi rimbalzi era solito inseguire con crescente perizia. Tra tutte le sue specialità, fu proprio questa a trasformarlo in un fuoriclasse.
Una carriera fulminante
Gli bastarono solo cinque anni di calcio, imprese, gol e furbizie assortite per convincere l’Italia a rivolerlo indietro. Il suo rientro fu merito del barone Bazzonis e di Carlo Carcano che alla Juventus stavano cercando gente che avesse fame, stile, piedi buoni e cervello. In quello squadrone, a far compagnia a Rosetta, Caligaris, Combi, Ferrari e Borel, c’è posto anche per lui. E lui, mezzala ventiquattrenne di belle speranze, fa il suo esordio con la maglia bianconera andando subito in gol. Renato è un elegante giovinotto che ama il buon gioco atletico ma anche la bella vita e le sue curve più imprevedibili. E’ volubile, irriverente, geniale, ruffiano, furbo ed estroverso. Per questi motivi Renato piace. Tantissimo alle donne ma decisamente meno ai suoi allenatori che ne stigmatizzano l’assoluta indisciplina. Sarà quel turbine concentrato di vita e spavalderia a farne rapidamente uno dei personaggi popolari più discussi, la stella dei pomeriggi pallonari ma anche di molte notti brave e di albe omeriche.
Conteso e corteggiato
Renato è un talento incorreggibile, conteso e corteggiato, che vuole vivere fino in fondo il suo tempo. Passeggia per Torino con una scimmia sulla spalla, apre un locale notturno in piazza Castello a fianco del negozio della famiglia Combi, frequenta gente facoltosa e influente. In loro compagnia trascorre intere notti a ballare il tango in smoking, spendendo e spandendo con eleganza, brillantina, stile e distinzione. Ma, per quanto si spinga spesso ben oltre i limiti, quando va in campo è uno di quelli che cambiano le sorti della partita, magari nel breve volgere di pochi secondi. Esattamente come accadde il 13 dicembre 1931 a Torino, sul terreno pesante del Filadelfia, quando Pozzo lo chiama in azzurro per schierarlo, quasi malvolentieri, contro i temibili ungheresi. La partita è dura ed estremamente equilibrata e, dopo due reti per parte, pare ormai avviarsi stancamente verso uno scontato e triste epilogo. Ma Cesarini non ci sta ed a pochi secondi dalla fine ruba al fango un pallone sorprendendo gli avversari e qualche zelante compagno. Renato punta la porta avversaria sino al limite dell’area di rigore da dove trafigge Ujvari con una imparabile bordata. Gli azzurri battono così l’Ungheria e Cesarini entra così nella leggenda battezzando con il suo nome quegli ultimi giri di lancette sino al fatidico ultimo minuto. Sarà la pronta fantasia di Eugenio Danese ad inaugurarla ufficialmente per la gioia di tutti i colleghi cronisti.
La “Zona Cesarini”
Nasce così la fantomatica “Zona Cesarini”, una sorta di confine temporale dove tutto si fa più urgente, dove gli attacchi si intensificano, i portieri tremano e dove, soprattutto, Cesarini segna. Quei suoi gol velenosi, cinici e spietati, immancabilmente siglati all’ultimo minuto, Renato tornò spesso a farli in campionato con la maglia juventina. Per questo il “Cè”, l’argentino dI Sinigallia, il maestro del tango, diventò storia, emozione e il simbolo di un lessico appassionato, di un modo unico di intendere il calcio e forse anche la vita, con leggerezza ma anche con la salda idea di non mollare mai sino all’ultimo secondo, di credere sempre che la partita termini solo quando l’arbitro fischia la fine. E così dopo una splendida carriera al di qua e al di là dell’Atlantico, che peraltro solcherà nuovamente nel 1935 per andare a movimentare “la Maquina” del River Plate in compagnia del mitico Pedernera, di Moreno e Peucelle, Renato ha il grande onore di entrare nel gergo comune e di finire a campeggiare nelle pagine dei più colti dizionari enciclopedici. Che strane cose capitano talvolta inseguendo un pallone.