30 Apr Once in a lifetime: Roland Ratzenberger
Il 30 aprile 1994 muore a Bologna Roland Ratzenberger, di professione pilota automobilistico. La Formula Uno non esisterebbe senza le tante storie e l’incredibile passione di decine di piloti che hanno sacrificato quanto di più caro pur di inseguire i loro sogni. Perché l’automobilismo non è quello dei grandi campioni e di chi ha conquistato titoli e trofei ma anche e soprattutto di chi ci ha solo provato, andando fino in fondo con talento e coraggio e misurandosi con sfortuna e ostacoli, con il capriccio del caso o anche solo con qualche dannato millesimo di secondo, una sciocchezza che a 300 chilometri all’ora vale almeno dieci metri e un’intera esistenza.
Il cuore autentico
Contrariamente alla retorica del bravo cronista, è proprio lì, dietro i nomi meno celebri di fugaci meteore del volante che batte il cuore autentico di questo strano sport, fatto di intuito, istinto, abilità, muscoli, coraggio come anche di soldi. Perché, a partire dalla metà degli anni Ottanta, approdare alle formule superiori non dipese più solo da talento e prestazioni, ma anche e soprattutto dalla ricca dote finanziaria che potevano assicurare gli sponsor o qualche illuminato mentore. Capitò così che il circus divenne una specie di recinto privato, di sfarzoso ed eccitante giochino per qualche rampollo di buona famiglia a caccia di emozioni capitali. Ma talvolta quello stesso budget, racimolato con fatica e sudore, risultò decisivo per incoraggiare ed agevolare brillanti carriere.
Ordinato, metodico e preparato
Così era stato infatti per Roland Ratzenberger, promessa austriaca che si era costruito una solida reputazione nell’agguerrito mondo delle corse minori, gara dopo gara, imponendosi all’attenzione degli addetti ai lavori. Roland aveva cominciato a correre a soli diciassette anni rilevando, con un compagno di scuola, un favoloso maggiolino giallo con cui partecipare alle corse in salita sulle montagne attorno a Salisburgo. Seguirono tante gare di categoria e tante affermazioni. Ma Roland cercava sfide maggiori e importanti e decise così di lasciare il continente alla volta della Gran Bretagna a caccia di fortuna e ingaggi. Ci riuscì facendo esperienza in Formula 3 guadagnandosi il passaporto per un’entusiasmante stagione in Giappone dove divenne un protagonista della Formula 3000. Ratzenberger era un pilota preciso, ordinato, metodico e preparato. Grazie ad una solida preparazione tecnica, amava lavorare sulla messa a punto delle vetture sino al punto di diventare un punto di riferimento per tutte le scuderie per cui correva. Queste doti gli aprirono i prestigiosi cancelli della “24 Ore di Le Mans”, dove prese il via cinque volte, l’ultima delle quali, con Martini e Nagasaka, riuscì a portare la Toyota 93 al quinto posto assoluto, sul gradino più alto della sua classe.
Il coronamento di un sogno
Quello di Roland era stato un lungo apprendistato. All’alba del 1994 poteva ben dire di essere pronto per il gran balzo, per la Formula Uno. Cercò così le risorse necessarie, trattò con gli sponsor, si offrì in giro e attese fiducioso. La Simtek non tardò a farsi avanti. Era il coronamento di un sogno. Un contratto per cinque gare di campionato era ben di più di quanto sperato, ma quel sogno, purtroppo, si fermò solo alla terza corsa del calendario, a cinquantatre giorni dall’inizio di quell’avventura. In quello sfortunato sabato di fine aprile a Imola vanno in scena le qualifiche del Gran Premio di San Marino. E’ fondamentale non sbagliare. In Brasile Roland non è riuscito a raggiungere l’obiettivo mentre ad Aida, in Giappone, ha preso il via dal fondo dello schieramento portando comunque la vettura al traguardo, seppur con molto distacco, in undicesima posizione. Roland vuole conquistare una buona posizione in griglia, vuole dimostrare tutto il suo valore, ma la sua monoposto presenta un sacco di problemi ed è già un miracolo tenerla in pista.
Un tocco fatale
A Imola quel giorno serve una prestazione superlativa. E’ quello che cerca, quello che vuole. Il palcoscenico ora è tutto suo: tocca a lui cercare il giro della vita. Roland parte subito velocissimo ma durante una staccata, nella foga di un approccio, tocca con l’alettone anteriore il cordolo. L’appendice aerodinamica si incrina e al velocissimo imbocco del Tamburello si stacca e prende il volo. La Simtek diventa purtroppo un inguidabile missile che punta il muso, ad oltre trecento chilometri all’ora, verso il muro di cemento. L’urto è devastante: la cellula di sicurezza regge ma la rabbiosa decelerazione non lascia scampo. Roland viene estratto dall’abitacolo in fin di vita e si spegne solo pochi minuti dopo all’arrivo all’Ospedale Maggiore di Bologna.
Destini incrociati
La sua morte è un dramma nel dramma, perchè in quel pomeriggio post prandiale il baraccone mediatico non si ferma, accusa solo qualche ora di ritardo sul programma procurando fastidio ai palinsesti televisivi. Come quella di Paletti, la sua tragedia non sembra scuotere l’ambiente e gli stessi piloti fanno finta di niente. Tutti, tranne Senna, il campione più celebrato, che invece sembra provato da quel dramma e dal destino malvagio che si è portato via Roland in un bel pomeriggio di sole. Ayrton vuole andare sul posto, vuole capire come sia stato possibile. Ma il destino in quel week-end di Imola sta giocando beffardamente con la vita e reclama ancora più attenzione. L’indomani in gara ad andarsene per sempre toccherà proprio a lui, al più bravo e celebrato dei campioni. Per un vile scherzo della sorte la tragedia di Ayrton finisce per oscurare quella del misconosciuto pilota austriaco, che rimarrà per anni un ulteriore dettaglio funebre nel drammatico ruolino di un tragico fine settimana. Alla fine un destino beffardo li aveva accomunati, lui, Roland, l’esordiente e Ayrton, il pluricampione. Per qualche insondabile intuizione, Senna lo aveva capito. Il brasiliano aveva previsto quella singolare partita a carte con la sorte. Perché Ayrton, in quel suo ultimo giorno di vita, mentre va incontro alla morte, si porta nell’abitacolo una bandiera austriaca. Se, come spera, salirà sul podio, renderà giustizia alla memoria di quel giovane e coraggioso collega. Ma Ayrton, purtroppo, non ne avrà né il tempo né il modo, e il nome di Ratzenberger rimarrà solo uno sbiadito ricordo per quel ristretto ed esclusivo clan di brillanti e distratti piloti.