28 Mag Once in a lifetime: Glenn Gould
Qualche minuto dopo la mezzanotte del 27 maggio 1981 Glenn Gould entra negli studi di registrazione della CBS, sulla Trentesima Strada a New York, per incidere in assoluta e perfetta solitudine una nuova stesura delle “Variazioni Goldberg”. Glenn conosce bene quegli studi. Sorgono all’interno di una vecchia chiesa episcopale nel cuore di Manhattan. Non a caso tutti nell’ambiente li chiamano semplicemente “The Church”. Lì, ventisei anni prima, Glenn vi ha registrato una prima celeberrima versione dell’opera, quella che lo fece conoscere al mondo intero e che lo consacrò come uno dei maggiori pianisti di sempre. Ora, a distanza di tutti quegli anni, è tempo di una nuova incisione.
L’ala di quel turbine intelligente
A seguirlo in quello studio pochissime persone. C’è il tecnico del suono, che da qualche settimana lo marca garbatamente dalla consolle, come un’ombra cauta e prudente, pronto a far partire i Revox e le macchine, con tatto e discrezione. C’è il suo fido agente, che gli rimane silenziosamente in scia assecondando da tempo l’ala e il flusso creativo di quel turbine intelligente. Oltre a segreti inconfessabili, Glenn custodisce una valigetta di medicinali, perché da qualche anno si cura da sé e vuole tenere sempre tutto a portata di mano. In quella grande sala insonorizzata ci sono diversi pianoforti. C’è anche il suo accordatore di fiducia, Verne Edquist, che ha lavorato a lungo sulle meccaniche degli strumenti. E poi c’è il suo piano, quello che dovrebbe usare, quello che è costato una lunga diatriba e un mare di discussioni con i tizi di Steinway & Sons per quegli acuti troppo brillanti, quei bassi troppo potenti, per quel fastidioso e pomposo fragore e quel pedale destro che Glenn non usa.
Tasti e martelletti
Glenn è un purista che non tollera le esasperazioni cromatiche. Alla potenza preferisce sempre la rapidità di risposta e la varietà timbrica. Per lui il pianoforte è fatto solo di tasti e martelletti. Quel pianoforte troppo esagerato e dai timbri parossistici non gli piace. Ma Gould ha un contratto che parla chiaro. Può suonare solo quel piano. Ne nasce così una lunga controversia che si trascina mesi in un vortice di accuse reciproche e tensioni. Questa volta, però, Glenn ha deciso. Farà di testa sua. Non suonerà quel pianoforte, bensì quello a fianco, uno Yamaha nuovo di zecca. Che vadano tutti al diavolo! Davanti al piano c’è la sua sedia pieghevole, quella ormai consumata dal tempo che ha gambe regolabili singolarmente. E’ più bassa di venti centimetri rispetto al consueto. Da sempre Glenn suona così, in quella posizione strana e innaturale. Accavalla le gambe, tanto i pedali non gli servono, e incurva la schiena. Quella postura e l’intima vicinanza alla tastiera sono estremamente indicate per la sua tecnica, per suonare, senza sforzo, tempi veloci e note chiare, nette e ben distinte
Sussurri e impalpabili mormorii
Glenn abbassa il capo come se dovesse affrontare una lunga dolorosa confessione e man mano che le note escono dalla cassa le tallona con la voce. Gould non canta. Pare piuttosto emettere dei sussurri, dei sobri vocalizzi, una sorta di leggero e impalpabile mormorio increspato. Niente di preparato, si intende, solo “una naturale movenza dell’inconscio”, come scrive nelle memorie. Quei sospiri e quei mugugni costituiscono il principale problema del fonico, rassegnato ad affrontarli con discrezione ogni notte da diverse settimane a questa parte. E’ una sorta di incubo. Ogni dannata notte che passa cerca di eliminare quell’impurità, quel riverbero vocale, ma ogni tentativo pare del tutto vano.
Un manifesto innovativo
Le “Variazioni Goldberg” sono la sua vita. Prima di metterci le mani erano solo un’opera misconosciuta, complessa, ripetitiva ed estremamente tecnica. Dopo la prima registrazione del 1955 sono diventate un manifesto del suo modo innovativo di vivere e suonare, scattante, veloce e aguzzo. Ma adesso Glenn sente di essere prossimo al capolinea. Ha rimeditato quegli spartiti per oltre venti anni, li ha studiati sino alla noia e sente che è arrivato il momento di realizzarne una nuova stesura, più riflessiva, attenta, sofferta e profonda, esattamente come è diventato il suo pensiero su Bach. In tutti quegli anni le “Variazioni” lo hanno accompagnato tra sventure e rovesci, tra malattie e psicosi. Per questo non sono più solo un’opera ma, piuttosto, suono e ricerca mistica, la testimonianza di un rapporto personale diverso e accorato.
Un eccentrico animale notturno
Glenn è un eccentrico animale notturno. Non va mai a letto prima dell’alba e non si sveglia mai prima delle tre del pomeriggio. Da anni conduce vita separata rispetto al mondo. Sono decenni che non si esibisce in pubblico. Nascondersi sembra essere diventata la sua specialità. Teme il contatto con la gente. Teme ogni contatto fisico. Suona con dei guanti tagliati, passa ore al telefono e si circonda di ogni genere di animali. Pur litigando in continuazione con i tecnici non si lascia mai andare alla collera. Ricorre piuttosto ad uno humour tagliente e sanguinoso, chiacchiera in continuazione e, certo, non dà mai la sensazione di annoiarsi.
Un grappolo di note
Ma adesso, in quelle prime ore notturne di giovedì 28 maggio 1981, è lì che fissa la tastiera. Non sembra felice, solo concentrato sulla musica e sulla sua vita. Ripensa a sua madre che ha perso quindici anni prima per un ictus. Sente qualcosa, ma non riesce a comprendere. Glenn non sa infatti che un anno più tardi toccherà anche a lui andarsene nella stessa identica maniera, prima di aver compiuto cinquant’anni. Glenn non sa che la Columbia CBS pubblicherà la registrazione di quella lunga notte di fine maggio il giorno del suo funerale. Un brivido attraversa le sue mani. Adesso è pronto. Sente l’impulso che arriva e china il capo sul primo grappolo di note. Glenn non sa che quello che sta per incidere lo consegnerà per sempre agli uomini e alla storie dell’umanità. “È una musica che non conosce né inizio né fine, senza un vero punto culminante e senza una vera risoluzione: una musica che è come gli amanti di Baudelaire, ‘mollement balancés sur l’aile / du tourbillon intelligent’. Essa ha quindi un’unità che le viene dalla percezione intuitiva, un’unità che nasce dal mestiere e dalla rigorosità, che è ammorbidita dalla sicurezza di una maestria consumata e che qui si rivela a noi, come avviene tanto raramente in arte, nella visione di un disegno inconscio che esulta su una vetta di potenza creatrice”.