23 Giu Once in a lifetime: Juan Manuel Fangio
Nel primo mattino del 24 giugno 1911 all’anagrafe del municipio di Balcarce, modesta cittadina a quattrocento chilometri da Buenos Aires, viene registrata la nascita di Juan Manuel Fangio, futuro asso del volante. La sua esistenza non è solo una lunga esaltante teoria di trofei, pole position, titoli mondiali e grandi vittorie ma coincide di fatto con l’era più leggendaria dell’automobilismo.
Attraverso la storia
Fangio ha attraversato la storia. Ha visto cadere regimi e uomini di stato, ha assistito a drammi e pagine dolorose, ha corso davanti a gerarchi e dittatori, rivoluzionari e principi ereditari, ha preso rischi indicibili salendo su vetture che avevano poco più del trenta per cento di possibilità di rimanere in carreggiata o di terminare la corsa. Fangio ha gareggiato con i più grandi piloti di sempre, rimanendo in vita molto più a lungo di loro. In quell’epoca veloce la morte era un fatto usuale, sostanzialmente atteso e quasi del tutto naturale, doloroso e nell’ordine delle cose. Nemmeno andare a salutare i bolidi ai lati di strade bianche e impolverate era avventura di poco conto; faceva parte di un fatale e affascinante gioco che in qualche modo accomunava spettatori e piloti, mettendoli tutti dalla stessa parte, li nel mezzo a strappare secondi a paura e trepidazione, eccitazione e terrore. In poche e povere parole, quella febbre si chiamava velocità.
“El Maestro”
Non è solo per gli incredibili numeri di una lunga carriera o per le sue memorabili imprese se Fangio è diventato per tutti “El Maestro”, il simbolo e lo spirito più profondo della sfida automobilistica. Juan Manuel ha pilotato per tutti i marchi più prestigiosi, dalla Ferrari alla Mercedes, dall’Alfa Romeo alla Maserati. Ha tagliato per primo il traguardo, sfiorando la bandiera a scacchi, per ben 24 volte in 52 Gran Premi, come dire, quasi una volta su due, finendo a podio in altre undici. E’ partito dalla pole position in più della metà della gare che ha disputato, conquistando cinque titoli iridati, un record che ha resistito a lungo nella storia della Formula Uno. Numeri del genere si commentano da soli, soprattutto se messi in relazione a quell’epoca fragile, a quei circuiti ostili e a quelle vetture precarie che pesavano quattro o cinque volte le attuali e che stentavano a guadagnare stabilità e trazione. Quelle che correva Manuel, tra gli anni Trenta e i Cinquanta, non erano gare ma giri di roulette.
Figlio di un sogno
Fangio era uno dei tanti italiani d’Argentina, figlio di un sogno e di una speranza durata mesi, almeno quanto il lungo viaggio per mare. Oltre che a due mondi, Manuel apparteneva a due date. Era nato il 24 gennaio 1911 ma venne registrato all’anagrafe solo qualche giorno più tardi, il 24 giugno. Il padre, originario di Chieti, gli aveva regalato un temperamento ruvido e implacabile, schietto e riservato, lo stesso di chi ha sempre davanti un obiettivo chiaro e preciso, fosse anche solo una pagnotta per sopravvivere o una bandiera a scacchi per conquistare la gloria. Juan era basso di statura e grassottello ma possedeva uno sguardo penetrante e volitivo che conquistava più e meglio di un fisico statuario. Aveva pure due gambe storte. Per questo gli amici lo chiamavano “El Chueco”. Qualcuno azzardò che fosse proprio quella strana curvatura il suo segreto più protetto, perché grazie a quella loro naturale piega Juan trovava nell’abitacolo una posizione più comoda rispetto a colleghi alti e longilinei.
Una scuola fatta di strade impossibili e fangose
Fangio aveva imparato a guidare a soli dieci anni per merito dello stesso meccanico che lo aveva preso in officina a fare l’apprendista lattoniere. Poi erano arrivati anche i consigli di un pilota vero e di un concessionario d’automobili, per il quale il quasi dodicenne Juan Manuel curava la consegna e il ritiro dei pezzi di ricambi coprendo in auto notevoli distanze. Furono quelle strade impossibili e fangose la sua vera scuola. Fu lì che Fangio imparò a guidare con i sensi e il cervello prima che con le mani e i piedi. Poco più tardi arrivarono anche le gare vere, su sterrati polverosi e fondi incredibili. Fangiò cominciò a vincere e non si fermò più, sino a quando quel lungo continente a sud dell’equatore si fece improvvisamente troppo piccolo per le sue grandi ambizioni.
Il suo mitico “ingresso in curva”
Sbarcò quindi in Europa per cimentarsi con i migliori in età avanzata, a 36 anni, e vi rimase, vincendo il possibile, sino a 48. Aveva uno stile sicuro, affidabile, bello da vedere, preciso nell’impostare le curve e nel tenere le traiettorie. Sembrava volare da tanto riusciva a mantenere fluida la linea della vettura. Battagliò con tutti i mostri sacri, Ascari, Farina, Fagioli, Gonzales, e riuscì a sopravvivere a drammi e disastrosi incidenti, come quello di Le Mans del 1955 che costò la vita a più di ottanta spettatori ed a diversi piloti. Tra molte specialità, la più incredibile era quella di entrare in curva con una marcia più alta degli avversari e con il motore che girava, quindi, almeno mille giri più in basso. In questo modo Juan non doveva scalare le marce nè lottare con leve e ingranaggi guadagnando preziosi secondi. Oltre ad essere uno straordinario pilota, Fangio era anche un eccezionale meccanico. Aveva un’approfondita conoscenza tecnica dei mezzi che pilotava ed entrava in simbiosi con le parti più sollecitate, tant’è che spesso riusciva ad fermarsi anticipando disastrosi cedimenti.
Un singolare rapimento
Tra tante singolari avventure, Manuel provò anche l’ebbrezza del rapimento. Capitò a Cuba per mano di rivoluzionari filocastristi, in occasione del locale Grand Prix, che peraltro si concluse tragicamente con l’ennesimo bagno di sangue per l’uscita di pista della Ferrari dell’idolo locale Cifuentes. Fu per fortuna solo un’azione dimostrativa contro il regime di Batista. Fangio rimase prigioniero per il solo tempo della gara, giusto per impedirgli di prendere il via, procurando quindi un enorme danno di immagine alle autorità. Venne rilasciato l’indomani mattina con tanto di scuse e calorose strette di mano.
Nè comodo nè accomodante
Manuel rimase nel giro delle competizioni per molti annni anche dopo il ritiro. Non divenne mai un personaggio comodo né accomodante. Anzi, ingaggiò spesso infinite sfide polemiche con costruttori, giornalisti e piloti. Ciò nonostante le sue opinioni vennero sempre tenute nella massima considerazione. Non sarebbe potuto essere altrimenti, perché era l’unico “maestro” che il circus avesse mai tollerato. «Non ho mai pensato all’auto come a un mezzo per conseguire un fine. Ho piuttosto sempre pensato a qualcosa di cui facevo parte, come una biella o un pistone.»