22 Gen Once in a lifetime: Malcolm McLaren
Il 22 gennaio 1946 nasce a Londra Malcolm Robert Andrew McLaren, di professione produttore, “musicante” e agitatore culturale. Malcolm aveva dalla sua due grandi pregi, un fiuto naturale e un tempismo eccezionale. Su questi costruì una delle più esaltanti carriere del mondo artistico e musicale.
Intuito, cinismo e spregiudicatezza
La storia dell’umanità è il singolare frutto di un casuale intreccio di persone che si trovano al posto giusto nel momento giusto, per fortuna, vezzo o, anche solo, per l’imperscrutabile capriccio del caos. E’ questo il singolare caso del giovane McLaren, che grazie ad intuito, spregiudicatezza, cinismo e una spiccata attitudine per gli affari, materializzò dal nulla un universo parallelo anticipando epocali cambiamenti sociali, culturali e di costume.
Un visionario del lifestyle
L’assidua frequentazione con il mondo dell’arte e della moda fece sin da subito di Malcolm un singolare visionario, avvezzo a frequentare spesso punti di vista nuovi, coraggiosi e originali. Nell’odierna retorica della “start-up” lo si sarebbe inserito di diritto nella categoria degli innovatori, non rendendo però con questo giustizia alla sua estrema versatilità. Perché McLaren era un’anima in disparte che non si accontentava del lessico del suo tempo e che nulla aveva in comune con i tanti mestieranti che gravitavano attorno agli artisti e alle etichette discografiche. Lui rimaneva ai margini, coniugando magistralmente l’intuito dello scassinatore con il respiro del capitano d’impresa, di chi ha imparato ad affrontare il futuro tra idee a provocazioni traendone sempre qualcosa, fosse anche solo del buon profitto. Malcolm era il tutto e il nulla, un curioso e attento osservatore di derive, capace di grande leggerezza come pure di cinico realismo. Non copiava né seguiva le tendenze. Lui le generava, rivendendole al mondo come stili di vita. Così fece con il punk. In combutta con la brillante moglie Vivienne Westwood, diede infatti una nuova dimensione ad alcune oscure e lacerate tensioni del glam newyorchese esponendole in una iconica vetrina al 430 di King’s Road e pianificando, con un’improbabile ciurma di geniali disadattati, l’avventura mediatica del più straordinario esperimento situazionista della storia. Nacque così la più grande truffa del rock’n’roll.
Dagli happenings a “Sex”
Tutto ebbe inizio con le provocazioni contro-culturali degli happening dei primi anni Settanta. Il giovane Malcolm era uno spirito inquieto e curioso e si lasciò affascinare da tutta quella esuberante stagione. A colpirlo furono le nuove potenzialità dei mezzi e degli strumenti. Divenne così un attento lettore delle tensioni culturali e sociali. Sono anni di esperienza e formazione in cui prende a frequentare Guy Debord e buona parte dei poeti della rivoluzione culturale. Tra tanti pregi, Malcolm ne possiede uno che si rivelerà decisivo per tenere testa al mercato discografico, quello di tenersi sempre un passo avanti a tutti. Mentre Londra celebra stancamente le ultime lunghe ombre del progressive, lui se ne va a New York a rincorrere il graffio glam di una generazione ribelle e scapestrata, cercando di intuire dove e quando si sarebbe alzato il vento. Sarà il primo a connettere quella rabbia profonda al cupo disagio e all’esplosiva condizione sociale delle grigie periferie inglesi. Al ritorno cerca un luogo da dove cominciare a tessere la sua nuova tela. Quando gli balena la stravagante idea di rilevare un polveroso laboratorio fotografico su King’s Road, lo stesso che aveva tenuto a battesimo molti iconici ritratti di musicisti e scrittori, non ha ancora la minima idea di cosa ne avrebbe fatto, ma sa che lì sarebbe scoccata la scintilla del fuoco che avrebbe bruciato Londra.
La più grande truffa del rock’n’roll
In pochi mesi quel negozio divenne infatti il centro di tutto. Da lì transitarono tensioni, idee, visioni e artisti. Lì, tra quelle mura, avrebbe ricostruito tutto ciò che stava accadendo tra le strade del Lower East Side e del Village a New York. McLaren riprese e importò con grande scaltrezza tutte quelle energie e l’aggressivo contorno estetico fatto di tagli, lamette e t-shirt. Mise quello strano apparato scenico al servizio di un nucleo di geniali dilettanti senza grosse pretese che si aggiravano quotidianamente tra quei locali come mosche da bar. L’idea della più grande truffa del rock’n’roll gli rimbalzò addosso solo qualche mese più tardi, quando gli capitò di accompagnare i Ramones nel loro tour britannico. Malcolm era un fine animale politico. Comprendeva e parlava da tempo il linguaggio dei più giovani, leggeva le difficili condizioni sociali in cui erano costretti a muoversi e quell’incolmabile distanza dal contesto ufficiale. Pensò che quello spazio avrebbe meritato qualcosa di speciale. Capì la portata della deriva e comprese l’altezza dell’onda che ne sarebbe scaturita. Azzardò che se i Ramones erano riusciti a mettere alla berlina gli stereotipi del disimpegno giovanile americano, sarebbe stato facile fare la stessa cosa con quelli inglesi, con le convenzioni conformiste e quella vita grigia e preordinata. Fu così che la più improvvisata band del secolo prese a vomitare addosso a quella società l’eversiva e nichilista idea di un futuro inesistente e del rifiuto di ogni struttura sociale, amplificando e rispolverando il furore iconoclasta di avanguardie creative e culturali di un lontano passato.
Un manager scaltro e intraprendente
I Sex Pistols divennero un manifesto selvaggio e antagonista, un esplosivo mix di rifiuto, provocazione e sarcasmo nei confronti di tutto e tutti, soprattutto di architetture sociali desuete e non più in grado di intercettare i bisogni e la partecipazione di ampie fette della popolazione. Malcolm cavalcò magistralmente quelle spinte, mise in discussione tutti i meccanismi della grande industria discografica, obbligò le multinazionali a mutare assetti e stili, stravolse il mercato e ne agevolò il suo superamento approfittando di ogni possibile varco mediatico e della gratuita vetrina regalata da una lunga teoria di atteggiamenti trasgressivi, offensivi e provocatori. Trasse per anni profitto da quel formidabile esperimento. Quando provò nuovamente ad applicarlo all’esplosione dell’hip hop e del breakbeat, scoprì che il mercato aveva imparato la lezione adattandosi con estrema rapidità alla logica incrementale della “next big thing”. Questa volta i mercati si presero la loro rivincita ma gli lasciarono comunque l’onore delle armi. Gli riservarono un posto speciale nella storia e lo celebrarono come un autentico genio della comunicazione, un fondista del marketing culturale, il padre putativo di tutte le derive virali e “guerrilla oriented”. Lui però non se ne diede pace. Sarà quella sua inquieta energia a regalargli imperitura fama, perché rimarrà per sempre il primo, colui che intuì, in netto anticipo sulla concorrenza, le smisurate potenzialità di un’idea integrata di arte e performance.