12 Feb Once in a lifetime: Ferruccio Valcareggi
Il 12 febbraio 1919 nasce a Trieste Ferruccio Valcareggi, di professione calciatore e allenatore. Dietro una grande gentilezza d’animo e una saggezza profonda almeno quanto il suo mare, Ferruccio nascondeva un carattere fermo, deciso e volitivo. Il suo calcio aveva fatto strada e, come lui, veniva da lontano, dall’estremo confine orientale. Ferruccio era infatti cresciuto tra le strade di Trieste, quelle del rione Gretta. Nel giro di poche stagioni era finito a calcare i campi di fango e bora della Ponziana approdando quindi nelle fila della grande Triestina degli ultimi anni Trenta.
La Triestina di Rocco, Grezar, Colaussi e Pasinati
Tra gli alabardati fa la conoscenza di molti giovani e promettenti talenti come Rocco, Grezar, Colaussi e Pasinati. Sarà l’inizio di una lunga carriera che durerà oltre quindici anni, trecentonovantacinque partite e novantuno gol e che farà tappa in molte città tra cui Firenze, Bologna e Vicenza. Tra le tante storie di quel difficile periodo bellico, la più curiosa racconta un vertiginoso cambio di maglie che si consuma nel giro di sole pochi giorni. Nella primavera del 1944, a campionati ormai fermi per l’incombere del fronte, Valcareggi gioca infatti una serie di amichevoli con la maglia della Fiorentina. E’ sempre tra i migliori in campo. Presidia la fascia destra dove fa la mezzala, ma è bravo a coprire la difesa. Risulta davvero prezioso perché occupa con autorevolezza gli spazi e detta illuminate geometrie. Gioca talmente bene che è impossibile non notarlo. Sfruttando l’inerzia di una lunga pausa, il Milan brucia la concorrenza e trova un accordo con i viola, solo, però, per qualche partita ben remunerata. Ferruccio rimane così a Milano non più di qualche settimana, giusto per una manciata di importanti partite. Tra queste c’è anche un accesissimo derby contro i nerazzurri. In un’Arena gremita in ogni ordine di posti e sotto la concreta minaccia delle bombe (le sirene suoneranno, infatti, in ben due occasioni) i rossoneri, grazie anche all’infaticabile energia di Ferruccio, battono sonoramente i cugini. Valcareggi esulta con i nuovi compagni, incassa l’ambito premio di 650 lire e rientra a Firenze dove però scopre di essere stato nel frattempo ceduto al Bologna. Valcareggi rincorrerà idee e palloni sino al 1954 girando diverse piazze. Poi decide di smettere. Solo di correre, però, non di giocare.
Un talentuoso allenatore
In campo “Uccio” era uno straordinario uomo d’ordine abituato a vedere il gioco, a leggerne le trame individuando sempre le soluzioni più adatte. Ecco perchè quando si accomoda in panchina dimostra sin da subito tutto il suo talento. Ferruccio è abile nel disporre gli uomini sul terreno di gioco stabilendo con loro un rapporto umano autentico che va ben oltre la relazione professionale. Valcareggi è misurato ed autorevole. Con i primi successi e le promozioni arrivano anche i riconoscimenti ufficiali e il prestigioso “Seminatore d’Oro”. Artemio Franchi intuisce il grande potenziale e gli propone l’avventura con la nazionale maggiore. Lui si lascia convincere. Dopo la fallimentare spedizione inglese ai Mondiali del 1966, la Federazione gli affida così il timone, all’inizio in coabitazione con il mago Helenio Herrera, poi in amata solitudine con il formale incarico di risollevare la squadra in vista degli imminenti Campionati Europei. Valcareggi compie un miracolo. Infonde a quel giovane e talentuoso gruppo serenità e fiducia nei propri mezzi, irrobustisce la difesa, fa girare il centrocampo attorno a una generosa mediana e impiega al meglio la fantasia e la potenza delle punte. Così, incredibilmente, la piccola Italia si scopre improvvisamente grande. Gli azzurri battono la Jugoslavia nella doppia finale e conquistano il primo e unico titolo continentale. La squadra c’è. Ci sono grandissimi talenti come Riva, Boninsegna, Domenghini, Rivera e Mazzola. C’è pure lo spirito giusto. E’ l’âge d’or del calcio italiano. Sotto la sua attenta guida, gli azzurri giocano un calcio sincero, rapido e di grande intensità. Solo l’infinito Brasile, nella lunga notte dell’Azteca, gli nega la conquista del titolo mondiale in Messico nel 1970.
Un grande regista
Valcareggi è il grande regista di quella squadra nonché il padre spirituale e putativo. Regola e controlla le tensioni, gestisce i turbolenti rapporti interni, calibra e stimola i fuoriclasse inventandosi pure la magica staffetta tra due rivali diretti come Rivera e Mazzola, cercando sempre di trovare i giusti equilibri tra reparti e personalità. Ferruccio entra pure nella storia per la partita del secolo, quella del quattro a tre contro la Germania che diventa subito leggenda. Ma da lì in avanti le cose si complicano, perchè i clan interni si rafforzano. Ferruccio prova a spezzare le dinamiche in atto ma ogni tentativo è inutile. La barca della Nazionale naviga a stento tra flutti, spinte e tensioni. La successiva spedizione ai Mondiali tedeschi è un mezzo disastro e al rientro in Italia volano pomodori e insulti. Ferruccio deve così chiudere la sua parentesi azzurra con all’attivo un titolo Europeo e una finale Mondiale, un bilancio di altissimo profilo che lo colloca tra gli allenatori italiani più vincenti di sempre. Nonostante delusione e amarezza, non smette di allenare. Non lo avrebbe mai fatto. Perché, come raccontava Bearzot, Ferruccio era un vecchio marinaio ed era abituato a non mollare mai il timone, nemmeno nei momenti più difficili. Il suo destino era quello di portare barche con perizia e calma, quella stessa che si respira ogni volta che si scorge l’orizzonte del proprio mare.
L’Hellas di Luppi e Zigo-gol
La pausa di riflessione non dura poi molto. E’ grazie al vulcanico presidente Saverio Garonzi che “zio Uccio” riguadagna una panchina nella massima serie con l’Hellas Verona alla cui guida infila tre campionati da favola, giocando sempre un calcio piacevole e di qualità, robusto ed efficace grazie anche a schemi rodati, uomini talentuosi e alle mille invenzioni della coppia d’attacco formata da Luppi e Zigoni. Poi, ci sarà anche spazio per una stagione con la Roma e per un turbolento ritorno nell’amata Firenze. Valcareggi rimane uno dei più grandi allenatori italiani, eccellente nel gestire e modellare l’imponderabile materia umana, attento e scrupoloso nel tenere in gruppo tutti i talenti, nel tutelarli e difenderli a scanso anche di qualche ruvida discussione con la stampa. La sua figura incarna ancora oggi l’icona di un calcio elegante e viscerale, leggero e ispirato, signorile e misurato, pragmatico e sempre concreto, ben piantato con i piedi per terra almeno quanto la sua smisurata passione per il cuoio del pallone e la nobile arte pedatoria.