09 Mar Once in a lifetime: John Cale
Il 9 marzo 1942 nasce a Garnant, in Galles, John Davies Cale, di professione musicista, compositore e produttore. John ha attraversato diversi generi e stili guardando alla musica sempre da punti di vista singolari. Perché Cale, al pari di alcuni altri spiriti che lo hanno accompagnato nella sua lunga avventura, ha sempre cercato contaminazione e confronto scegliendo la scomodità alla rinfrancante certezza della tradizione, le ombre alla luce del sole. Proprio lì, nelle pieghe di quei percorsi, ha nascosto alcune gemme di rara bellezza.
Nuove strade
John è stato il protagonista di una delle più intense stagioni della musica. In anni di grandi cambiamenti ha aperto strade in seguito percorse da migliaia di altri epigoni. Perché John era un’anima obliqua e di frontiera. Aveva regalato ai Velvet Underground il brivido del vuoto tracciando buona parte delle più inquiete e rischiose traiettorie della musica contemporanea. Perché a John piaceva il rischio, piaceva infrangere i limiti e deviare dalla retta via per provocare, per rompere schemi e convenzioni.Per lui la deriva era una sorta di attraente dimensione dell’anima, una specie di credo esistenziale a cui consacrare un’intera carriera. Quell’urgente attitudine alla sperimentazione veniva da lontano. Era maturata tra le pagine di scrittori francesi tra simbolismo ed espressionismo, era cresciuta all’ombra di spartiti e lunghe sessioni di prova tra le mura dei conservatori e aveva, infine, trovato modo di consolidarsi discretamente tra solide basi e una formazione di stampo classico. Quella vivacità molto doveva anche alla straordinaria singolarità del suo strumento, la viola, i cui registri e le cui tonalità trovarono nella distorsione dell’amplificazione elettrica nuovi ed inediti spazi da esplorare. Quel suono ispido e potente divenne la sua firma, lo specchio di un personale e poetico filtro, ruvido, caustico e dolente quanto introverso, riflessivo e crepuscolare.
Una stagione eccitante
L’incontro con geniali e folli innovatori come LaMonte Young, Karl-Heinz Stockhausen, Terry Riley e John Cage lo spinse nei fascinosi territori della sperimentazione e in ambiti, come quello del progetto “The Dream Syndicate”, che si rivelarono cruciali e fondamentali per le future traiettorie stilistiche della contemporaneità. La New York di quegli anni era il crocevia di tensioni notturne ed estreme. Divenne rapidamente il perfetto habitat per piccole grandi ribellioni sonore e per una diversa idea del mondo, iconoclasta, distaccata, scettica e rumorosa. In pochi anni, i vicoli della Bowery, il Lower East End, Chelsea e il Village tennero a battesimo una nuova sensibilità e una moderna narrazione che abbatteva i confini tra arti, pensieri ed espressioni intrecciando tra loro diverse esperienze sonore, fisiche e visive. E’ in quel contesto, in quei primi e affollati happening che Cale fa la conoscenza di un talentuoso e giovane musicista la cui amicizia segnerà la successiva carriera aprendogli le porte della Factory di Warhol e del futuro. Il sodalizio con Lou Reed sarà proficuo e conflittuale, complice e radicale, fecondo e destabilizzante. Quella serrata dialettica disegnerà il futuro della musica e dell’arte, in un flusso di brillanti idee ed epocali intuizioni. Sarà questione di pochi anni. Brucerà veloce, ma si lascerà alle spalle tracce indelebili.
Un futuro di velluto
Quel brillante e precario equilibrio artistico consegnerà al mondo il graffio dei Velvet Underground. Cale darà un enorme contributo a quell’instabile rotta racchiudendo in pochi monumentali lavori soluzioni sonore e rumori che, nel corso dei successivi decenni, saranno saccheggiati da artisti a caccia di emozioni, idee e creatività. Quando infine quella tensione superò il livello di guardia, John ebbe il sangue freddo e la lucidità di lasciarsi tutto alle spalle per inaugurare una nuova stagione nel solco di una moderna ibridazione tra stili e generi. Cale mantenne saldamente il timone, rimanendo a presidiare il confine tra l’avanguardia musicale e un complesso autunno dei sentimenti, liberando suggestioni al cospetto dell’oscurità. Fu grazie a questa sua non comune sensibilità che divenne un sapiente produttore musicale. John imparò a valorizzare faglie e punti di rottura, diventando quasi chirurgico nell’allenare fuga e talento, irregolarità e imperfezione, caos e distacco. I suoi lavori, dagli Stooges all’amica Nico, da Patti Smith ai Modern Lovers, divennero così piccoli ineguagliati affreschi di inquietudine metropolitana. Cale ebbe il merito di non abbandonare mai quella strada, anche quando forte si fece il richiamo di percorsi più canonici. Le frequenti collaborazioni e, soprattutto, le intense opere soliste, l’esordio di “Vintage Violence” e i felici seguiti di “Paris 1919”, “Fear” e “Helen of Troy”, descrissero l’apice espressivo di una straordinaria parabola sonora impegnata a spingere il futuro nelle braccia di pulsioni oblique e sperimentazione. John divenne un maestro nel misurare i toni e nell’esplorare le infinite scale di grigio. Sfornò così tessuti e velluti pregiati dai registri oscuri e claustrofobici. Con quelli prese ad avvolgere nevroticamente un freddo e austero presente. Fu così che anticipò tutte le tensioni che di lì a poco avrebbero germogliato divenendo pretesto e ispirazione per la più clamorosa rivoluzione culturale e sonora. Nonostante ciò, ancora una volta, però, ne rimase ai margini, intento a guardare oltre e ad immaginare quello che lo avrebbe atteso alla svolta successiva. John abitò sempre il futuro comprendendone per tempo gli sviluppi. Ne intuì per tempo snodi, contraddizioni e direzioni e con quella sua strana e magica arte tracciò l’ampio perimetro in cui si sarebbero mosse tutte le inquietudini che avrebbero segnato, nei decenni successivi, il rock e la società contemporanea.