29 Mag Once in a lifetime: Johan De Muynck
Il 29 maggio 1948 nasce a Sleidinge, città fiamminga in terra di Fiandra, Johan De Muynck, di professione ciclista. Johan non aveva un fisico possente. Era longilineo ed esile, magro e con fasci muscolari decisamente ridotti. Ciò nonostante, in gara pareva a tutti un gigante. De Muynck era cresciuto ripassando a memoria le imprese dei più grandi. Si era abituato a tenere ritmi elevati sia in piano come anche sulle pendenze più impegnative, quando la strada arrampicava e il traguardo sembrava non arrivare mai. Johan si era allenato a tenere testa alla fatica, a sfidarla con coraggio e ad ingannarla con le sole armi della costanza e della continuità.
Raggi e forcelle
De Muynck era un ciclista perfetto, adatto alle grandi corse a tappe, come il Giro, il Tour e la Vuelta. Si era avvicinato al ciclismo per passione e per quella grande facilità di pedalare. Possedeva le stesse caratteristiche dei più applauditi fuoriclasse del nord, quelli cresciuti masticando raggi e forcelle nelle massacranti maratone sull’infido pavè e sui scivolosi centimetri di fanghiglia che la tramontana deposita sui viottoli di campagna. Come tutti i campioni, Johan possedeva ritmo e forza. Avrebbe avuto bisogno solo di un pizzico di buona sorte. Una breve ma intensa gavetta lo aveva lanciato nel mondo del professionismo. Le prime vittorie lo avevano imposto all’attenzione generale collocandolo nel ristretto novero delle promesse, quelle da tenere d’occhio. De Muynck era atteso al gran balzo: il 1972 sarebbe stato il suo anno. Ma il ciclismo, si sa, è sport drammatico, fatto di svolte e tornanti, volate e cadute, spietati pendii e discese vertiginose. Furono proprio queste a reclamare attenzione, fu una grave caduta causata dalla pioggia a rischiare di porre anticipatamente fine alla sua promettente scalata.
Un’inaspettato stop
Mentre è impegnato nel “Giro del Nord” Johan perde il controllo della bici in una ripida discesa nel pieno della velocità. La caduta è disastrosa. De Muynck scivola di lato senza staccare le mani dal manubrio e finisce per sbattere violentemente il capo sull’asfalto procurandosi una gravissima lesione al cranio. I soccorritori comprendono subito la gravità della situazione e, nonostante l’immediato ricovero, le sue condizioni peggiorano di ora in ora. Johan rimane per diversi giorni in bilico tra la vita e la morte. Poi, per fortuna, l’ematoma si riassorbe, il peggio passa e si avvia così verso una lenta ripresa. I medici lo tengono lontano dalla bicicletta per parecchio tempo. Lui soffre in silenzio, non solo per i postumi dell’incidente. Qualcosa sembra infatti essersi rotto e quando ritorna sulle scene non sembra più lo stesso. Johan pare aver perso il sorriso e quel suo sguardo vispo e curioso. Appare più riflessivo e silenzioso. Con il passare dei mesi ritrova però la forma e alla ripresa delle attività nel 1973 è nuovamente pronto sui pedali.
L’ombra della caduta
Quella caduta e l’ombra di quella paura torneranno spesso a trovarlo in tutti i momenti più critici della sua carriera, rendendolo più fragile, indeciso e incerto. Ed è un vero peccato perché, una volta tornato in forma, Johan dimostra davvero di avere le carte in regola per diventare un campione. Va subito a podio in diverse corse in linea e cerca di gestire al meglio quelle a tappe. Lo ingaggia la Brooklin di De Vlaeminck. Quella vicinanza finirà per aiutarlo moltissimo, non solo per l’evidente stimolo agonistico ma anche perché Roger si rivela tanto implacabile nelle corse secche quanto scostante nelle altre. Johan ha cosi modo di crescere all’interno del team sino a consolidare il suo ruolo e in soli due anni diventa il capitano della squadra. Le grandi corse sono il suo palcoscenico. Nel 1976 vince a mani basse il “Giro della Svizzera Romanda” e si presenta ai blocchi di partenza del Giro deciso e determinato. Ingaggia sin da subito battaglia con tutti i più forti sino a contendere, tappa dopo tappa, la maglia rosa allo stesso De Vlaeminck, a Moser e Gimondi. Sembra sul punto di potercela fare ma una brutta caduta a Bergamo gli fa perdere secondi preziosi in classifica generale. Riesce comunque a difendere il primato che cederà però ad un rinato Gimondi nella penultima tappa della corsa, la cronometro di Arcore, quando ormai credeva di aver chiuso i conti. I fantasmi del passato tornano a trovarlo ma Johan cerca e riguadagna tutta la serenità necessaria.
La vittoria al Giro
L’appuntamento con la gloria è rinviato solo di un paio d’anni. Nel 1978 De Muynck conquista, infatti, da incontrastato protagonista, il “Giro d’Italia” dominando la competizione e difendendo senza grossi problemi la maglia rosa, vestendola dalla terza tappa sino alla passerella finale di Milano. Alla fine infliggerà un minuto di distacco a Baronchelli e svariati altri a Moser, Panizza e Saronni. Quella vittoria sembra la giusta ricompensa per l’impegno e la dedizione con cui aveva ostinatamente cercato di dimenticare quel grave incidente. De Muynck proverà anche l’avventura al Tour, ma senza troppa fortuna. Finirà al quarto posto nell’edizione 1980 della Grand Boucle avviandosi poi a chiudere la carriera nei primissimi anni Ottanta. Di lui rimane ancora il vivido ricordo di un corridore d’altri tempi, nervoso e fragile ma capace anche di grandi imprese come di momenti di grande debolezza. Ed è questo catalogo di alti e bassi, questa sua naturale grammatica a farne, ancora oggi a distanza di molti anni, una delle figure più intriganti della gloriosa storia delle due ruote.