03 Giu Once in a lifetime: Franz Kafka
Il 3 giugno 1924 muore a Kierling, nei dintorni di Vienna, Franz Kafka, di professione impiegato assicurativo e scrittore. Franz ha vissuto molte esistenze. Nel corso della vita ha infatti abitato contesti diversi. Fu così che al quotidiano impiego presso l’Istituto di Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro per il Regno di Boemia alternò, con metodo e regolarità, la scrittura. Era con lei che Franz faceva le ore piccole contendendo il soffio creativo al sonno e all’attività onirica, che finiva, poi, in qualche modo per ispirarla. A dire il vero, però, Franz, impiegato modello per passione e impegno, scriveva molto anche di giorno. Ma quelle pagine erano frutto solo di un mondo euclideo di statistiche, analisi, manuali e trattati.
Un quadro notturno e inquieto
Questa sua attenzione professionale per la prevenzione e la salute nei luoghi di lavoro celava un quadro diverso, decisamente più inquieto e meno ragionevole al cospetto di teorie, grafici e numeri. Kafka non scriveva per gli altri, per ipotetici lettori che non conosceva e mai avrebbe conosciuto. Kafka non scriveva per il mondo che lo circondava. Piuttosto, passava le notti in compagnia di penne e carta per dare un minimo di senso all’esistenza, per sopravvivere e non impazzire sotto il peso di tanto inutile rigore. Perché Franz cercaca di sottrarsi ai labirinti dei suoi sensi di colpa e ad irrisolte tensioni familiari. Perché solo scrivendo poteva liberare un caleidoscopio di sogni e allucinazioni affidandoli terapeuticamente ad uno specchio di realtà ed apparenze.
La ricerca di una cura
Le sue opere erano infatti una sorta di mappa interiore, un tracciato all’affannosa ricerca di una cura. Franz non aveva avuto un’infanzia semplice né allegra. Aveva silenziosamente pagato l’incapacità ad inserirsi nel contesto sociale aderendo ai suoi riti e ai suoi miti. Di questo se ne faceva colpa. Nonostante ne avesse piena coscienza, Franz faticava però a reagire a quello stato di insensata stasi rimanendo, da un lato, prigioniero delle sue cose e, dall’altro, del tutto alieno ad ogni contesto. Era questa infelicità di fondo, unitamente all’incomprensione, alla solitudine e all’indifferenza, a costituire la metrica sofferta del suo lirismo e ad agitare quell’universo metafisico, grottesco e assurdo con cui provava a raccontare un odioso quotidiano.
Tra colpa e pena
Tutti i suoi antieroi devono fronteggiare una colpa. Affrontano un giudizio da cui escono colpevoli e devono infine scontare una pena. La sua anima si celava dietro tutte le fasi di questi dolorosi processi. I suoi personaggi sono, come lui, disadattati, creativi o rivoluzionari senza rivoluzione; anime dolenti e in pena che soffrono senza riuscire a rompere gli schemi e che, quindi, si rassegnano a espiare il fio di tante mancate scelte. Kafka, così, si processava e si condannava, senza appello né grazia. Ripetutamente. Anche lui, come molti altri padri nobili del pensiero del primissimo Novecento, scruta dentro sé alla ricerca di risposte. Come buona parte di loro, non le trova avvertendo, invece, tutta la claustrofobica assurdità di quell’enorme castello di precetti e regole che deve scalare ogni mattina dalla sua scrivania.
La disperazione del condannato
Nei suoi scritti Kafka racchiude tutto il disagio provocato dalle convenzioni, dagli obblighi borghesi e dalle regole sociali, scolpendo, con geometrica precisione, nelle sue storie la quieta disperazione del condannato e di chi ha compreso l’impossibilità di trovare una via di uscita. E’ così che nelle sue opere racchiude ombre e cattura l’alienazione, lo sconforto e l’angoscia del modernismo. I suoi romanzi assumono tutti il carattere di un radicale escapismo, di un distacco interiore che influenzerà profondamente tutte le correnti espressive del secolo, in aperta lotta con l’apparente rigore della logica e il profondo sonno della ragione. Le sue storie sfidano tutte le regole come fossero una sorta di terapia antalgica, ci mettono in guardia dall’incombente disastro e ci consegnano una dose di tormentata inquietudine per aiutarci ad apprezzare le cose e un diverso punto di vista.
Una promessa non rispettata
Comunque, di tutto questo e dell’eventuale uso che l’umanità avrebbe fatto delle sue parole, ad eccezione di quelle lucidamente impiegate per mettere in guardia tornitori e falegnami dai rischi della loro professione, Franz però non si diede mai pena. Sul letto di morte per le complicazioni di una tubercolosi mal curata pregò l’amico Max Brod di bruciare, dopo la sua dipartita, le centinaia di manoscritti non ancora pubblicati. Max però non tenne fede alla parola data e conservò, invece, i suoi scritti che divennero parte integrante di un conteso lascito familiare. Gli siamo tutti molto grati per non aver esaudito quell’ultimo desiderio. “Non deve lasciarsi sgomentare dalle delusioni. Qui certe cose sembrano disposte allo scopo di intimorire, e ad un nuovo venuto gli ostacoli appaiono addirittura insormontabili. Non voglio indagare le ragioni, forse l’apparenza corrisponde davvero alla realtà; nella mia posizione mi manca la distanza necessaria per giudicare, ma stia bene attento: a volte si danno occasioni che non concordano quasi mai con la situazione generale, occasioni nelle quali una parola, uno sguardo, un cenno confidenziale possono ottenere di più che non certi sforzi estenuanti prolungati per tutta la vita.”