12 Gen Once in a lifetime: Piero Taruffi
Il 12 gennaio 1906 nasce ad Albano Laziale Piero Taruffi, di professione pilota automobilistico e motociclistico nonchè progettista. Taruffi appartiene ad un gruppo ristretto di piloti che rincorsero sogni e pensieri su sterrati e cemento in perenne equilibrio tra rischio e follia. Singolarmente Piero seppe però accompagnare la passione per la velocità ad un’esuberante intelligenza creativa e ad una originale visione progettuale. Questo gli riservò un posto di assoluto rispetto nel “pantheon” motoristico.
Qualcosa in più
Rispetto a molti degni avversari, Piero aveva infatti qualcosa in più, qualcosa di assolutamente speciale grazie a cui riuscì spesso ad uscire da situazioni pericolose e delicate. Aveva infatti sviluppato una ragionevole coscienza del rischio e dei propri limiti. Quel sesto senso gli consegnò le chiavi di una straordinaria sensibilità per la meccanica facendolo eccellere in ogni disciplina del motore. Perchè Taruffi le moto e le macchine non si accontentava di portarle al limite ma le progettava, le smontava pezzo per pezzo, le studiava in officina e sul banco, mettendone meticolosamente alla prova tutti i componenti sino ad apportarvi continue migliorie. Mentre gli altri piloti si concentravano sullo stile di guida e sull’abitudine al rischio, Piero lavorava anche sulle vetture e sulle moto che portava al traguardo. Quell’attitudine veniva da lontano. Si era formata in anni di frequentazioni assidue con ogni tipo di mezzo ed era cresciuta sin da quando giovanissimo aveva deciso si sfidare la polvere delle strade.
Un uomo della velocità
Piero era figlio di un tempo avventuroso e spavaldo dove il turbine futurista stravolgeva le arti, le lettere ma anche e soprattutto la considerazione del mondo e dell’esistenza. Come molti uomini d’arte e di sport, venne stregato dal mito della velocità e dalla modernità di tutta quella tensione. Cominciò a gareggiare con gli sci da discesa alla metà degli anni Venti, e poi si dedicò al canotaggio, disciplina nella quale conquistò il titolo europeo dell'”otto con”. Ma era il motore, il rombo dei cavalli e quella fragorosa ed intensa vibrazione a scuotere i suoi sogni. Era poco più che adolescente quando partecipò e vinse nel 1923 la “Roma-Viterbo” alla guida della Fiat 501 del padre. Furono proprio quelle prime emozioni a fare piazza pulita di tutto il resto. Taruffi vi si dedico con tutta la passione che aveva in corpo. Intraprese così una rapida e brillante carriera sia sulle due che sulle quattro ruote applicandosi allo studio e alla messa a punto dei mezzi. Quella speciale abnegazione fruttò successi e popolarità. Sulle due ruote raccolse i successi più prestigiosi. Nel 1932 diventa campione europeo della classe 500 cc e, in quella stagione pionieristica, andò ripetutamente a caccia del record sulla distanza. L’occasione più ghiotta gli viene offerta dal conte Bonmartini e da due giovani e brillanti ingegneri come Carlo Gianini e Piero Remor con il loro progetto “Rondine”, un prototipo che sarà alla base della motocicletta moderna, alla cui guida Taruffi conquista decine di vittorie strappando diversi record nazionali sulle tratte stradali Milano-Brescia e Firenze-Mare.
La leggenda di “Zorro Plateado”
Taruffi era uno spirito ingegnoso e un vero sperimentatore, attento ad ogni aspetto della competizione. Nel Gran Premio d’Italia del 1933 che corse con la Maserati fu il primo a utilizzare le cinture di sicurezza. Le progettò di suo stesso pugno, le fece tagliare e cucire da madre e sorella e, quindi, le testò in gara. Fu anche tra i primi corridori ad indossare un caschetto protettivo in ferro. Ebbe inoltre la fortuna di uscire vivo da alcuni disastrosi incidenti, come quello del 1934 nella “Corsa dei milioni”, dove rischiò di perdere l’uso degli arti inferiori. Non smise mai di correre, nemmeno nelle condizioni più difficili, continuando ad affinare le proprie doti. Grazie anche a una grande perizia professionale e ad un’approfondita conoscenza dei mezzi, Taruffi divenne imbattibile nelle corse di durata, laddove era necessario gestire la meccanica tenere il più possibile andature veloci ma regolari sfiorando limiti che non si poteva oltrepassare. Vinse così le tre più importanti kermesse su strada, come la “Targa Florio” del 1952, l’edizione 1951 della temibile “Carrera Panamericana” nonché l’ultima tragica edizione della “Mille Miglia” del 1957, quella del disastroso incidente di De Portago e Nelson. Il successo nella leggendaria corsa sudamericana gli valse anche il soprannome di “Zorro Plateado”, ovvero “Volpe Argentata”, per via della velocità, della precoce canizie e, soprattutto, della sua rinomata scaltrezza nello sfruttare fino in fondo le potenzialità del mezzo.
La Formula Uno e il “bisiluro” Tarf
Nei primissimi Cinquanta Taruffi approdò anche alla Formula Uno accasandosi alla giovane e agguerrita compagine della scuderia di Enzo Ferrari. Il Drake gli affida la potente 500 nel campionato del 1952 e lui centra il successo nel Gran Premio d’esordio in Svizzera. Alla fine sfiorerà anche il titolo assoluto giungendo terzo in classifica generale con ventidue punti al suo attivo. Ma il suo nome entrerà per sempre nella storia dei motori grazie ad un altro singolare record di velocità. Due anni più tardi, alla guida di un potente e singolare “bisiluro” Tarf Gilera a quattro ruote, da lui progettato e realizzato, Piero sfonderà infatti, sul circuito di Montlhéry, il muro dei 200 km/h. Eclettico, deteminato e attento, Taruffi rimarrà per sempre uno dei padri nobili del motorismo nazionale ed uno dei più influenti campioni delle due e delle quattro ruote. Anche per questo i suoi punti di vista e le sue opinioni continuarono a rimanere per molti anni dopo il ritiro e sino alla morte, avvenuta nel 1988, un saldo punto di riferimento per tutto l’ambiente.