25 Mar Once in a lifetime: Didier Pironi
Il 26 marzo 1952 nasce a Villecresnes, nel cuore della Marna, Didier Joseph-Louis Pironi, di professione pilota automobilistico. Tutte le nostre esistenze ruotano attorno ad alcune date anagrafiche: eventi e circostanze decisive che hanno stravolto promesse, attese e traiettorie già tracciate. In queste singolari circostanze la meccanica del caso si è divertita ad intrecciare il destino degli uomini in barba a regole e previsioni.
25 aprile 1982
Nella breve e tragica esistenza di Didier, la data da cui le circostanze finiscono per assumere una fatale accelerazione è quella del 25 aprile 1982. In quella domenica ad Imola va in scena uno dei più controversi Gran Premi della storia della Formula Uno moderna. La gara è infatti segnata da una vigilia burrascosa nella quale si consuma una storica e profonda frattura tra i costruttori. Il tutto sfocia in un clamoroso boicottaggio da parte delle maggiori scuderie britanniche in aperta polemica con quelle continentali. Sulla griglia di partenza si presentano, così, solo metà delle squadre. Ciò nonostante, per il pubblico del Santerno è comunque festa grande, perchè dietro le “gialle” Renault di Arnoux e Prost ci sono le due “rosse” di Villeneuve e Pironi.
Ferrari vs Renault
Dopo alcune stagioni difficili, la Ferrari è tornata sulla buona strada. L’arrivo di Postlethwaite ha ridato ossigeno a velleità mai sopite e ad un progetto tecnico, la 126C2, che si rivela finalmente all’altezza delle aspettative. La gara si mette subito bene perchè il turbo francese va rapidamente in crisi lasciando via libera alle “rosse”. Sarà una trionfale doppietta. Le due monoposto viaggiano quasi di conserva, tornata dopo tornata, in fila indiana. Mancano ormai solo quindici giri alla fine e il pubblico attende trepidante l’arrivo di quella tranquilla parata sotto la bandiera a scacchi. Sarà veramente una domenica di festa. E, invece, accade l’impensabile, perchè tra i due piloti inizia un duello d’altri tempi. Capita infatti che Didier spinga al limite la staccata e, all’improvviso, consegni quella giornata al destino. E’ così che la sua rossa Ferrari sorpassa quella di Gilles che, molto nervosamente, restituisce stizzito nel giro di qualche curva lo sgarbo. La sfida si infiamma. Davanti ad un pubblico indeciso se votarsi all’entusiasmo o allo sconcerto, i due piloti della Ferrari danno spettacolo sorpassandosi a ripetizione, utilizzando tutta la pista e rischiando più volte il contatto. Poi, alla Piratella, la quart’ultima curva della gara dell’ultimo giro, Pironi esce dalla scia del piccolo canadese, apre il gas e lo sfila di prepotenza.
Tragiche conseguenze
Gilles, il pubblico e l’intera Italia danno a Didier del traditore, del compagno irriconoscente che ha apertamente violato i patti di “buon vicinato” e gli ordini di scuderia, che si saprà solo in seguito non essere, invece, mai esistiti. Tra Didier e Gilles cala il gelo. Il canadese sale sulla terrazza di Imola scuro in volto. Protesta, perché si sente illegittimamente scippato della vittoria. Gilles non gli rivolge più parola e gli dà polemicamente appuntamento per la rivincita quindici giorni dopo, in Belgio, a Zolder, dove però, una sorte maligna lo farà volare tragicamente incontro alla morte. Didier sarà l’unico pilota ad accorrere al suo capezzale, ma fatalmente anche l’unico a cui sarà ingenerosamente attribuita la responsabilità morale dell’accaduto.
I conti con il destino
Solo tre mesi più tardi, ad Hockenheim, il destino provvederà a regolare i conti giocando anche a Didier ed al suo triste sorriso un brutto tiro. Mentre sta provando un set di gomme sotto il diluvio, Pironi tampona violentemente la Renault di Prost a quasi trecento chilometri all’ora. Stavolta è la sua Ferrari ad impennarsi puntando il muso verso un cielo grigio e zuppo orizzonte d’acqua per ripiombare quindi al suolo in verticale. La sua carriera automobilistica finisce così in un giorno di pioggia ai margini di un lungo rettilineo. I medici riescono miracolosamente a salvargli le gambe ma non la carriera. Pironi riacquisterà infatti solo una modesta funzionalità dopo anni di battaglie e più di trenta interventi chirurgici.
La velocità nel sangue
Ma la corsa di Didier non finirà lì. Perché la velocità gli circola nel sangue, fa parte delle sue molecole e del codice genetico. Ha un carattere forte e deciso, scolpito da anni di dura gavetta, costruito di gara in gara, successo dopo successo. Didier non è uno sfasciamacchine nè un pilota aggressivo. E’, piuttosto, un formidabile velocista, attento e regolare, uno che sa spingere i mezzi sino al loro limite. Al Drake ricorda Phil Hill per quel suo modo di tenere giù il piede in quei curvoni ad ampio raggio dove tutti gli altri invece remano a fatica. Didier prova a risalire su una Formula Uno ma il cronometro non gli dà più ragione. Tutti quei chiodi e quelle placche hanno compromesso il suo tocco e la proverbiale sensibilità. E allora guarda all’altro amore di sempre, al mare. Didier torna a misurarsi con la velocità a bordo dei bolidi off-shore che solcano le onde. Riesce subito ad inserirsi tra i più veloci e ricomincia così a frequentare nuovamente i gradini del podio, almeno sino al triste epilogo. Il 23 Agosto 1987, durante una gara nei pressi dell’Isola di Wight, un’onda investe il suo scafo che si rovescia ad una velocità di oltre 170 chilometri all’ora. La sua lunga corsa termina così. L’iconografia ufficiale lo tramanda ai posteri bello, ricco, insoddisfatto e imbronciato. Il popolo ferrarista lo ricorda ancora oggi come la causa della fine di un sogno. Ma, in realtà, Didier era solo un giovane corridore innamorato del brivido e della velocità, un pilota di razza, egoista e sprezzante come solo i campioni sanno essere, disposto a tutto pur di guadagnarsi il suo piccolo pezzo di cielo.