24 Giu Diego Alverà racconta. Sandro Ciotti, la voce alla radio.
Avrebbe consacrato l’intera esistenza ad un ampio e variegato reticolo di attitudini e interessi. Non avrebbe mai lesinato grande impegno e lucido talento. Ma quella sua strana attività di radiocronista, quella cosa che gli era capitata addosso quasi per caso lo avrebbe segnato per sempre. Perché sarebbe stata proprio questa a regalargli fama e notorietà e non solo per l’indubbio stile e la grande competenza. La sua fortuna si sarebbe infatti indissolubilmente legata al destino capriccioso di una maledetta giornata messicana di pioggia e vento.
“La voce”
La sua personale cifra, quella che lo avrebbe reso riconoscibile, al primo fiato, all’Italia intera e che lo avrebbe fedelmente scortato per trenta brillanti anni di radio e televisione, coincise con un inconfondibile timbro vocale, rauco e profondo, plastico e cavernoso. Quella vibrazione non era però lascito di qualche sigaretta di troppo o di una vita notturna e dissoluta, quanto piuttosto la spiacevole conseguenza di un’encommiabile dedizione professionale alla causa. Furono infatti quattordici ore consecutive di diretta sotto una sferzante pioggia battente all’Olimpiade messicana del 1968 a provocargli un grave edema alle corde vocali che rischiò di lasciarlo senza voce e ne scolpì drammaticamente il timbro. Non fu semplice adattarsi a quella nuova condizione. Sandro era un bravo e giovane cronista, sicuramente avviato ad un’importante carriera nei ranghi della televisione di stato. Sulle prime quella cacofonia lo spaventò. Pensò addirittura di chiudere quella parentesi e di cambiare mestiere. Furono i colleghi Sergio Zavoli e Paolo Rosi a farlo desistere da quei propositi. Gli amici gli spiegarono che, nell’effimero universo radiotelevisivo, non tutto il male viene per nuocere e che quella gracchiante raucedine poteva, invece, diventare la sua fortuna, la sua firma riconoscibile. Zavoli e Rosi non sbagliarono, perché fu proprio grazie a quella voce profonda e scolpita che Ciotti divenne un punto fermo nella galassia del giornalismo dell’etere.
Sport, musica e parole
Approdato in Rai nel 1959 per condurre una trasmissione che mescolava sport e musica, le sue più grandi passioni, Ciotti rimase in azienda per diversi decenni collezionando prestigiosi incarichi e commentando, da par suo, con piglio asciutto, determinazione e galanteria, qualcosa come quattordici Olimpiadi (tra cui anche la drammatica e infinita diretta della strage al Villaggio Olimpico di Monaco nel 1972), quaranta Festival di Sanremo, quindici Giri d’ Italia e oltre duemila partite di calcio nonchè otto campionati del mondo di calcio. Ai microfoni di “Tutto il calcio minuto per minuto” Sandro battezzò, con signorilità, prontezza di riflessi e una non comune vena ironica, neologismi ed espressioni epocali come «terzino fluidificante» o «stadio ai limiti della capienza». Suo anche il proverbiale incipit “clamoroso al Cibali”, coniato per esaltare il sorprendente successo del Catania sulla grande Inter e che da lì in avanti sarebbe entrato nel dizionario calcistico per celebrare la vittoria di una provinciale su una squadra blasonata. La crescente popolarità della trasmissione si legò non solo all’incalzante ritmo di uno straordinario coro di voci ma, anche e soprattutto, ai siparietti e ai veloci duelli verbali che ingaggiava con l’amico e collega Enrico Ameri.
La voce della domenica pomeriggio
Ciotti divenne l’inimitabile firma del calcio raccontato alla domenica pomeriggio. Sandro dispensava certezze, pareri e citazioni colte ed entrava nelle case degli italiani con garbo, stile e sobrietà, accomodandosi nei salotti all’ora del caffè, tra la prima digestione, la pubblicità della Stock e le sobrie presentazioni di Bortoluzzi. Quando toccava a lui, però, il tempo si fermava. Da buon professionista, Sandro sceglieva sempre le parole adatte, soppesava verbi e aggettivi, lavorava su ritmo e immagini. Creò così un vero e proprio stile, unico e inimitabile quanto la sua voce. Le sue analisi tecniche giungevano sempre puntuali ed attente, raccontando il gioco sul filo di fantasia ed emozioni. Tra tanti pregi, uno lo caratterizzò sempre, perché Ciotti parlava di calcio come fosse sempre la prima volta, con trasporto e passione, con sensibilità e una matura comprensione per la sconfitta e il rovescio.
Una straordinaria carriera
Ma non di solo calcio si nutrì la sua lunga parabola professionale. Sandro aveva infatti accumulato negli anni molte passioni e amori. Da giovane aveva studiato musica e violino e, grazie allo spartito, aveva imparato ad apprezzare tutta la musica classica, anche se poi si era lasciato stregare dalla leggera modernità della canzonetta, dal facile refrain e dai sipari più leggendari. Ciotti comunque frequentava grandi autori, il jazz di Duke Ellington, l’ironia graffiante di Enzo Jannacci, il fantasmagorico tourbillon di Dario Fo e il cabaret di Gigi Proietti. Possedeva e curava con gelosia una sterminata collezione composta da migliaia di dischi e trascorreva ore con gli amici al tavolo da biliardo. Respirava anche il cinema e le sue atmosfere e si era anche cimentato, in qualità di giornalista, alla regia di due bellissimi documentari dedicati alla vita di Luigi Tenco e di Lorenzo Bandini. Da quando era arrivato in Rai aveva sempre cercato di lavorare con qualità e umanità. Queste due caratteristiche rimasero, al pari del timbro vocale, la sua vera firma. Si spense, all’età di settantaquattro anni, il 18 luglio 2003 dopo una lunga malattia. Prima di andarsene lasciò ai posteri la sua autobiografia, “Quarant’anni di parole”, ricca di episodi, citazioni e curiose circostanze. Tra quelle pagine descrisse con grande intelligenza e uno spiccaton humour l’arduo compito a cui era stato chiamato e che sempre assolse con signorilità e classe.
“La radiocronaca è un esercizio più alto della telecronaca. E’ come una splendida amante che però va rispettata come se fosse una moglie. Un esaltante modo di comunicare, in diretta, a milioni di ascoltatori che pendono dalle tue labbra e che obbliga però a un’attenzione feroce».