24 Giu Diego Alverà racconta. Nick Cave, il poeta dell’oscurità.
Chi ha avuto modo la rara fortuna di vedere in azione il giovane Nicholas Edward Cave, all’epoca poco più che ventenne, mentre inghiottiva il microfono sul palco dei Boys Next Door, scapestrata ed esuberante punk-band degli esordi, o mentre si agitava scompostamente nel bel mezzo della solita rissa sottopalco da lui scatenata con il successivo sodalizio artistico dei “brutali” Birthday Party, non avrebbe mai lontanamente considerato due fondamentali circostanze. In primis, che potesse sopravvivere a se stesso e alla sua turbolenta esistenza per raggiungere in una condizione quanto meno vitale l’età della maturità, secondariamente, che quello scapigliato urlatore maturasse nel tempo una lunga straordinaria e onorata carriera nel perimetro di una vena stilistica di grande cifra lirica. Per fortuna nostra e di Nick, le cose non sempre vanno come ci si attende, perché la vita si rivela spesso un’avventura ben più sorprendente, incerta, effimera ed esaltante delle nostre previsioni.
Una taumaturgia personale
In qualche modo, Nick è riuscito a strappare il più classico dei patti con il destino. Non si tratta però di un mero accordo, vergato magari sulla falsariga di quello stretto, in un’altra era letteraria, da Johann Faust. Rileggendo a posteriori alcuni passaggi della sua cruciale età di mezzo, si potrebbe piuttosto azzardare che, in alcuni frangenti, Nick abbia giocato qualche buona mano con la sorte azzardando con destrezza mosse e contromosse. Per qualche disegno arcano Nick ha avuto ragione di una lunga teoria di vizi ed eccessi nonché di un ampio catalogo di tentazioni. Sopravvissuto alle aspre deviazioni giovanili e alle spinte autodistruttive, Nicholas ha magicamente trovato con i Bad Seeds una sorta di taumaturgia personale e un registro lirico perfetto per raccontare le vertigini oscure dell’esistenza dall’alto di un instabile equilibrio tra mito romantico e nichilismo emotivo. Non è stato un percorso semplice. La sorte ha imposto pesanti dazi e quelle ombre hanno infine preteso che le pene inflitte in quegli anni giovanili venissero scontate nell’età matura, una ad una, purtroppo anche in tempi recenti. Sono stati passaggi difficili, tristi, crudeli e bui. Ma Nick non si è lasciato andare. Si è aggrappato alla musica e alla scrittura, alle storie sanguinose e drammatiche, lasciandosi così alle spalle un calendario di nascite e lutti, eccessi e dipendenze, condanne e disintossicazioni, crisi depressive e spirituali. Così Nick, disco dopo disco, nonostante i “Cattivi Semi” che ha continuato imperterrito a seminare, è diventato adulto, ha depistato tutti i fantasmi, le droghe e l’alcol che lo avevano sin lì tormentato, ed ha affrontato con coraggio e forza tutto il talento della sua poesia.
Un nevrotico e brillante climax
La strada intrapresa lo ha condotto al cospetto di molti incroci. Ad ognuno di questi Nick non si è mai fatto prendere la mano da fretta o paura. Anzi, lì, tra quelle fatali crossroads ha finito per indugiare ed attendere che le cose facessero il loro corso. Nick si è così seduto sul ciglio della carreggiata, proprio come avrebbe fatto Robert Johnson con la sua chitarra lungo il delta del Mississippi, ed ha giocato la sua mano. Non sempre gli è andata bene, ché alle carte, si sa, non si vince solo con l’azzardo. Allora ha dovuto scavare, cercando di stendere la mappa di tutto quell’ampio perimetro di ombre e fantasmi, oscuro e irregolare. Con le storie, i testi e, soprattutto, le poesie ha restituito ciò che vedeva e sentiva nella sua cruda gelidità. Così Nick ha raccontato di sbagli che rimanevano tali, di peccati che non trovavano pace, di morbose ossessioni e autodistruzione, di pentimenti mancati e praticati. In tutto questo percorso letterario e sonoro, Cave è sempre rimasto distante dalla facile tentazione di ricorrere a grammatiche logiche o morali, mantenendo saldamente la direzione originaria. Quel nevrotico climax gli ha permesso di mescolare solennità a tensione elettrica, misteriosa inquietudine ad aperture melodiche, tra torch songs e murder ballads. Nick ha messo tutto il suo talento al servizio di un fiume lento e costante di intensità e passioni. Ne sono nati passaggi memorabili e cavalcate incalzanti e, nel corso del tempo, i toni del predicatore allucinato hanno lasciato spazio a una scrittura brillante e dolente, terribile e intensa, arcana e romantica.
Una dura epifania di amori, peccati, tensioni e albe di redenzione
Cave si è così accomodato nel salotto buono della musica d’autore, mescolando toni gotici e apocalittici con la pulsazione profonda del blues delle periferie suburbane, gli spleen esistenziali di passioni ferite con il portato della grande tradizione popolare, in un complessivo orizzonte fatto di sangue e ammazzamenti sempre consumato al cospetto di una dura epifania di amori dolenti, peccati biblici, tensioni mistiche e albe inquiete di redenzione che sembrano uscite dalle migliori pagine di William Faulkner e Cormac McCarthy. La sua carriera ha tagliato il traguardo di sedici straordinari lavori, sette emozionanti colonne sonore, composte a più mani con Warren Ellis e il compianto Conway Savage, scomparso solo qualche settimana fa, un’avventura abrasiva sotto il marchio Grinderman, film, documentari, libri e sceneggiature. Nick è diventato un protagonista colto ed elegante di questi ultimi anni, un ispirato dark-crooner dell’animo umano, dei sentimenti profondi, dei fallimenti come pure delle pulsioni più oscure ed oblique. Gli anni hanno donato intensità e saggezza, ma lo hanno anche esposto a prove crudeli come il dramma della perdita del figlio quindicenne. Nonostante quell’enorme baratro, che lo ha blandito per tutta la lavorazione dell’ultimo lavoro “Skeleton Tree”, Nick, ancora una volta, ha tenuto testa ai suoi demoni e si è messo a governare le vele tra le onde verticali di un epocale flusso sonoro, ispido ed elegiaco. Alla fine, esausto ma pago di aver portato la nave al largo, ha affidato il timone alle mani esperte dei Bad Seeds e si è immerso in acque nere e oscure per dare senso e significato a tutto quel dolore.