24 Giu Diego Alverà racconta. Gene Roddenberry e la rivoluzione di “Star Trek”.
Gene apparteneva a una dimensione aerea. Sin dalla più giovane età, il cielo, le stelle e lo spazio esercitavano infatti su di lui un’irresistibile attrazione. Nelle alte atmosfere rarefatte dei cieli Gene però trovava ben di più, non solo una ragione di vita ma anche un’idea del mondo. Fu la guerra ad offrirgli l’opportunità di accarezzare stabilmente le nuvole. Allo scoppio del conflitto Eugene Wesley Roddenberry si arruola in aeronautica e diventa pilota di caccia. Finalmente potrà volare alto nei cieli. Parteciperà a molte missioni pericolose sul fronte del Pacifico e, grazie alla sua abilità e ad una buona dose di fortuna, riuscirà a sopravvivere.
Il volo 121 da Karachi a Istanbul
Terminate le ostilità, Gene decide di continuare a volare, questa volta in maniera più sicura, sulle grandi rotte commerciali gestite dalla Pan Am ai comandi di un Jet Constellation. La sua carriera di pilota di linea, però, non durerà a lungo, giusto il tempo di diventare l’uomo del destino. Il comandante Roddenberry diviene, infatti, suo malgrado, il salvatore di decine di vite imbarcate sul volo 121 Karachi – Istanbul. Mentre è sui cieli siriani, il jet, al cui equipaggio Gene era stato aggregato solo in qualità di terzo pilota, perde ambedue i motori e va a fuoco. Nonostante il panico che si scatena a bordo, Gene riesce, con nervi saldi e grande prontezza di spirito, a riportare a terra il “Clipper Eclipse” limitando al minimo le perdite umane e ricevendo solenni encomi per la straordinaria manovra. Ma quella drammatica esperienza lascia per sempre il segno, deviando le traiettorie del suo futuro. Da quel giorno di giugno del 1947 Gene, infatti, non volerà mai più nei cieli. Tornerà a terra, a fare il poliziotto. Ciò nonostante, quegli aerei orizzonti rimarranno una solida ispirazione. Da quelle sconfinate derive e dalla sua fervida fantasia nascerà, infatti, una delle più celebrate serie televisive, destinata ad attraversare cinquanta e più anni di televisione diventando un vero oggetto di culto.
“Star Trek”
“Star Trek” nacque nel 1964 quasi per scherzo e scommessa. Roddenberry era infatti alla ricerca di qualcosa di speciale, qualcosa che avesse a che fare con l’avventura e i mondi sconosciuti, lo spazio e l’azione. Pensò ad alcuni elementi che ricorrevano nelle grandi serie dell’epoca, in quelle più seguite come “Buck Rogers” e “Flash Gordon”. Gene intuì che si sarebbe dovuto rivolgere a un pubblico più adulto e maturo. La prima versione fu presentata con l’infelice titolo di “Wagon Train to the Stars” e si rivelò un fragoroso disastro. Troppo avanti, troppo innovativa, troppo sofisticata. Non piacque l’idea di un’umanità pacifica che esplorava l’universo, non piacquero i personaggi principali, al punto che la NBC chiese addirittura di ritirare “quello strano ragazzo con le orecchie a punta”, non piacque nemmeno che il primo ufficiale fosse donna, circostanza del tutto trasgressiva e controcorrente nell’asfittico paludamento mediatico degli anni Sessanta.
Un ostinato genio
Ma Gene tenne duro e, nonostante le accese critiche della stampa, il sostanziale flop, l’ostracismo dichiarato dei network e una crescente marea di problemi finanziari, affinò il plot, strutturò con maggiore spessore e profondità i temi ed elaborò un iconico apparato a bassa intensità di fantascienza statica. Roddenberry trasformò un’indefinita idea di base in un intricato e affascinante sistema geopolitico di galassie e popoli, di pianeti e sistemi stellari. Se “Star Trek” è giunto sino a qui mantenendo inalterato il proprio fascino, certamente amplificato dalle recenti derive vintage, è anche per via della sua intrinseca portata radicale e rivoluzionaria. Fu, infatti, la prima serie televisiva a rappresentare un’umanità coesa, civile e rispettosa, rinchiusa in tute aderenti, sobriamente elegante e improntata a relazioni positive, alla collaborazione e al riconoscimento di diritti e cittadinanze. Fu la prima serie in cui la violenza veniva ridotta al minimo, se non addirittura bandita, per fare spazio alla ricerca del dialogo come mezzo superiore di risoluzione dei conflitti. Nella società di “Star Trek”, come a bordo della USS Enterprise, regna la totale accettazione e il rispetto della diversità fisica, molecolare, di genere, di razza e di confessione.
L’idea del progresso e della frontiera
I personaggi di Roddenberry sono tutti mossi dalla necessità di preservare qualunque forma di vita e dall’imperativo di non interferire mai nella storia e nell’evoluzione delle altre società. In quei mondi galattici c’è una formidabile idea di progresso e di frontiera. Le storie di “Star Trek” sono saldamente ancorate a una convizione di fondo, che l’uso, cioè, delle straordinarie potenzialità insite in ogni forma di intelligenza conduca sempre ad una positiva evoluzione dell’universo. E’ una straordinaria visione ottimistica, figlia del sogno di quei decenni di grande espansione e sviluppo. Al pari, tutte le debolezze e gli errori vengono, invece, compresi e accettati e, al limite, negoziati e ritenuti parte integrante di un vasto e comune patrimonio sociale. Ma, cosa ancor più interessante, in “Star Trek” alberga una visione di fondo pan-universalistica, retta dalla cieca convinzione filosofica che l’uomo non sia l’unico essere senziente dotato di intelligenza ma che, anzi, l’universo delle lontane galassie sia popolato da esseri infinitamente più intelligenti, più civilizzati ed evoluti degli umani. Il lascito visivo e artistico di Roddenberry risulta ben più eccitante e stimolante delle miopi previsioni pomposamente elargite dai tanti improvvisati “media guru” che affollano la rete e le sale convegni. Gene rimase per anni un genio incompreso nel firmamento della televisione statunitense. A distanza di decenni, le sue idee continuano ad affascinare, regalano stimoli e schiudono orizzonti. Lunga vita e prosperità Gene, in qualunque dei mondi tu sia finito a navigare.