09 Apr Once in a lifetime: Art Kane
Il 9 aprile 1925 nasce a New York Arthur Kanofsky, in arte Art Kane, fotografo per passione e per lavoro. Quella del fotografo è una professione complicata che certo non si limita al sapiente utilizzo di lenti, luci, diaframmi, otturatori e pellicole. Perché, in realtà, attraverso l’obiettivo di una macchina fotografica transita una materia fragile, incerta, volubile e in continua trasformazione. Perché dietro ogni inquadratura c’è il mondo e la nostra versione delle cose. Perché uno scatto è sempre il risultato di una miscela di emotività e raziocinio. Perchè fotografare vuol dire raccontare e interpretare il mondo reale, quello delle cose e degli umani.
La fotografia era una parte consistente dell’immaginario lirico di Arthur Kanofsky. Perché Kane, di mestiere, faceva il creativo e possedeva il raro dono della visione. Aveva, cioè, quella talentuosa capacità di trasformare un oggetto o un’immagine in un’icona, in un simbolo di bellezza e significato. Fu questa straordinaria specialità e l’appassionata condivisione dello spleen musicale e artistico del tempo a farne uno dei grandi maestri della fotografia contemporanea.
Kane firmò infatti alcuni dei principali manifesti di un’epoca, quella del sogno rock degli anni sessanta. Suo è l’iconico scatto degli Who accasciati e avvolti dalla Union Jack sul basamento del monumento newyorchese a Carl Schurz, che finirà poi a campeggiare per sempre sulla copertina della colonna sonora “The Kids Are Alright”, così come suoi sono gli scatti epocali di Stones, Dylan, Hendrix, Morrison, Warhol e dei Jefferson Airplane. Art fu per anni un riferimento di riviste popolari e prestigiose come “Life” ed “Esquire” e trovò anche il tempo e il modo per sperimentare composizioni più ardite e cinetiche come “A Day In The Life” o “Venice Sinking”, entrambe del 1969. Ma il nome di Kane si lega indelebilmente al suo primo e fatato scatto, ad una foto che ha catturato lo spirito di un’intera epopea, quella del grande jazz.
Con “la più grande foto a tema musicale”, così come la battezzò egli stesso, Art ritrasse infatti cinquantotto tra i più grandi jazzisti dell’epoca, tutti plasticamente coinvolti in una posa collettiva in piena Harlem, al centro del loro mondo all’angolo tra la diciassettesima e la centoventiseiesima strada. L’idea di quella straordinaria posa, a dire il vero, era venuta al suo editore. Robert Benton voleva infatti immortalare in un singolo scatto un gruppo di artisti per celebrare l’età d’oro del jazz. Per realizzare quel folle e avventato piano Benton aveva bisogno di complici. Ecco perchè aveva pensato ad Art, principalmente per via delle sue due grandi passioni: il jazz e la fotografia.
Art si occupò quindi degli aspetti tecnici. Pensò così ad una foto di gruppo “en plein air”, magari in una strada di Harlem. Gli venne in mente quella casa, una vecchia “brownstone”, per via delle ampie scale e per il fatto che si trovava nei pressi di un locale conosciuto da tutti i musicisti. Lui e Benton avevano così sparso la notizia al vento dando appuntamento a martedì 12 agosto 1958 alle dieci di mattina, un’ora quantomeno azzardata per gente che era solita fare l’alba nei club. Art e Robert contavano di mettere assieme almeno una decina di artisti. Ecco perchè non credettero ai loro occhi quando, sull’onda di un favoloso passaparola, quelle scale si popolarono incredibilmente di tutti i più grandi interpreti del genere, da Charles Mingus a Coleman Hawkins, da Count Basie a Sonny Rollins, da Dizzy Gillespie a Lester Young, da Art Blakey a Thelonious Monk, da Gerry Mulligan a Gene Krupa.
Quella foto diventò così lo straordinario manifesto di un’era, quella del grande jazz e della rinascita culturale di una metropoli ormai alle soglie della modernità. Quella foto cambiò definitivamente anche la vita e la carriera professionale di Art. “Guardare tutti quei musicisti muoversi su quegli scalini nella centoventiseiesima strada fu magnifico. Compresi in quel preciso momento cosa avrei voluto fare della mia vita. Volevo essere un fotografo”.