02 Mar Once in a lifetime: Charles Dickens
Il 7 febbraio 1812 nasce a Landporth, un sobborgo di Portsmouth, Charles John Huffam Dickens, di professione scrittore e giornalista. Di tutte le moltissime innovazioni che la prolifica penna di Dickens ha regalato ai posteri due mi hanno sempre colpito quanto a freschezza e coraggiosa visionarietà. In primis, il rispetto per le sue origini ed il suo pubblico, perchè Charles aveva umili natali ed era cresciuto a distanza dalle chiuse cerchie di scuole e accademie. Per questo parlava un linguaggio diverso e per certi versi del tutto rivoluzionario per la sua epoca, realmente popolare. Dickens romanzava ricorrendo a una prosa semplice, a figure retoriche schematiche e ad un linguaggio diretto e poco sofisticato ma estremamente efficace e di gran ritmo. I suoi personaggi, invisi ai critici perchè grossolani, ingombranti e melodrammatici, erano invece sempre perfettamente integrati nel flusso della narrazione finendo per risultare graditi ad un pubblico sempre più ampio. E per dare ancora maggiore incisività all’immediatezza delle storie Charles sperimentò formule alternative anche in merito a strumenti e formati. Ecco perchè Dickens è davvero il padre del moderno romanzo popolare che entra nelle case, settimana dopo settimana, grazie ai nuovi e potenti mezzi di comunicazione. Pubblicando a puntate sulla stampa le sue opere Dickens ha aperto le porte al futuro, attribuendo un’inedita dimensione universale e collettiva ai suoi romanzi e inventando, grazie anche alla straordinaria combinazione di tempo ed emozione, un format letterario che un secolo più tardi la radio e la televisione sperimentarono e declinarono con enorme successo. La seconda sua brillante caratteristica si lega più propriamente ai contenuti ed ai temi dei suoi racconti. Perchè Dickens fu il primo a comprendere la poesia e la drammatica ingiustizia che si celavano nell’indiscriminato sviluppo delle grandi metropoli e degli ambienti suburbani, il primo a dare un volto alle stordenti contraddizioni della prima grande industrializzazione, al degrado e alla più disperata miseria delle zone più densamente popolate. Sdegno e critica sociale furono infatti i tratti più salienti di buona parte dei suoi romanzi più conosciuti, da “Le avventure di Oliver Twist” a “David Copperfield”, da “Nicholas Nickleby” al capolavoro “Grandi speranze”, che divennero sin da subito vere opere morali prima ancora che pagine letterarie. Dickens però non andò mai oltre la vibrante e cruda descrizione del disagio, non elaborò mai soluzioni nè tantomeno partecipò all’attivo dibattito politico sul modello di sviluppo. Perchè Dickens si fermò sempre con grande intelligenza sulla soglia della materia umana, della sua trama grezza, occupandosi solo delle vicende terrene di un manipolo di personaggi che erano troppo indaffarati a sopravvivere e a combattere il destino e i suoi scherzi per avere il tempo di contestare e sovvertire idee e regole sociali inique e dannose. Come osservò George Orwell, “Dickens attaccò le istituzioni inglesi con una ferocia senza precedenti all’epoca. Riuscì a farlo senza farsi odiare, e, soprattutto, a farsi apprezzare e lodare dalle stesse persone che aveva criticato, in modo da divenire egli stesso una istituzione nazionale”. Anche in questo Dickens si dimostrò uno scrittore in netto anticipo sui tempi.