01 Lug Once in a lifetime: Wislawa Szymborska
Il 2 luglio 1923 nasce a Kórnik, nel distretto di Poznan, in Polonia, Wisława Szymborska, poetessa e saggista. Wislawa aveva un dono speciale, sapeva riconoscere il bello nella normalità di tutti i giorni, nelle pieghe dell’incertezza e dei sentimenti. E lo sapeva fare sempre con grande ironia e trasporto. Con leggerezza, avrebbe aggiunto lei. Wislawa era solita sostenere che “la letteratura non detiene il monopolio della meraviglia”, che tocca a noi scovarla dove si nasconde, che è la vita stessa ad essere fonte di stupore e poesia. Le sue fonti, le sue ispirazioni Wislawa le trovava così, osservando la vita degli altri, in coda alla posta, alla fermata del tram, dal droghiere o davanti alla televisione.
Questa singolare poetica delle piccole cose pescava spesso nelle cianfrusaglie del passato, nei ricordi e nei ritagli della memoria, frugando oggetti e testimonianze, dallo scontrino del market alla ricetta del medico. Di questo particolare catalogo era fatta la sua incredibile modernità. Wislawa ha infatti liberato la poesia dagli stretti legami, l’ha fatta evadere dai salotti e dalle accademie, l’ha aiutata a fuggire da cattedre, carriere, scuole e istituti universitari. Gli ha dato l’importanza che meritava, ospitandola a casa sua tra un film di Woody Allen e uno stravagante collage di cartoline kitsch delle ferie.
Il suo segreto era la disarmante umiltà con cui lavorava sulla parola, per restituirle urgenza e significato, per leggerla coerentemente al disegno del quotidiano, per non rischiare di assegnarle a prescindere un frainteso senso oscuro, buono solo per accontentare le inconfessabili voglie di qualche mediocre editor letterario alle prese con una costante frustrazione ed un perenne senso di inferiorità da deriva proustiana. Perché questo dovrebbe essere il senso del pubblicare, del dare voce e gambe a temi e contenuti che dovrebbero aiutarci a guardare oltre, verso orizzonti che altrimenti ci sarebbero interdetti.
Wislawa era il suo tempo e i suoi anni. Ha passato un’intera esistenza a cercare di costruire ponti e di stabilire contatti, preferendo sempre fluidità a costruzione, immediatezza a sofisticazione, semplicità a retorica. E negli anni è diventata bravissima a veicolare contenuti altissimi con parole lievi, ironiche e comprensibili. Grazie al Premio Nobel quella sua bravura ha finalmente conquistato la fama e le attenzioni che sin lì, almeno fuori dai suoi confini nazionali, non aveva mai avuto, perché magari nessuno aveva creduto in quelle righe mostrando il coraggio e la passione necessarie per farle conoscere.
Ed è proprio questo corto circuito che lascia l’amarezza. Perché, se una poetessa così talentuosa, moderna ed abile nel legare il senso del quotidiano a contenuti e temi profondi e immortali, ha così stentato prima di trovare il meritato spazio, cosa mai potranno attendersi gli agguerriti eserciti di promettenti poeti in erba?
A poco valgono le scuse, le solite considerazioni sulla mole dei materiali, sulla difficoltà della ricerca e della selezione. Perché, poi, lì sotto covano, in genere, consolidati e innominabili malesseri, gli stessi che chiudono porte anzichè spalancarle. Verrebbe da aggiungere, come forse avrebbe fatto lei, con ironia e amarezza che la poesia aiuta a vivere meglio ma che, in un mondo come questo, a quanto pare, non si può vivere solo di essa.
“Sono entrambi convinti / che un sentimento improvviso li unì. / E’ bella una tale certezza / ma l’incertezza è più bella. / Non conoscendosi prima, credono /che non sia mai successo nulla fra loro. / Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi / dove da molto tempo potevano incrociarsi ? (…) Vi furono maniglie e campanelli / su cui anzitempo / un tocco si posava su un tocco. / Valigie accostate nel deposito bagagli. / Una notte, forse, lo stesso sogno, / Subito confuso al risveglio. / Ogni inizio infatti / è solo un seguito / e il libro degli eventi / è sempre aperto a metà.”
“Amore a prima vista”, 1998