08 Lug Once in a lifetime: Lennart Skoglund
L’8 luglio 1975 muore a Stoccolma Karl Lennart Skoglund, di professione calciatore. La vita di Lennart, come quella di molti atleti, di donne e uomini celebri, si decise sul filo della sorte. Come spesso accade, nonostante il talento, l’abilità e la determinazione, è proprio il casuale incespicare dei dadi a segnare il destino delle persone, a decidere il senso di molte svolte, di nuove strade e traiettorie. Per quanto riesca difficile da accettare, la fatalità è parte del viaggio, come gli incerti del mestiere, un bicchiere di birra o l’anomalo rimbalzo di un pallone.
Il suo destino si giocò, a soli diciannove anni, durante i Mondiali brasiliani del 1950, quelli dell’Uruguay di Ghiggia, Schiaffino e Varela, quelli dell’apocalisse verdeoro del Maracanà. “Nacka” ci era arrivato sull’onda delle sue arrembanti discese. Nonostante il brillante talento sfoggiato durante tutta la stagione, Lennart rischiò di rimanere a casa. Inizialmente la commissione tecnica svedese, infatti, non lo inserì nella rosa dei convocati. C’era chi dubitava della sua continuità, chi di qualche vizietto e della sua estrosa fragilità. Il caso però volle che, a soli pochi giorni dalla partenza, la nazionale svedese affrontasse una selezione di giocatori scelti da un pool di giornalisti sportivi. Skoglund viene inserito in squadra da questi ultimi. Lo sistemano largo all’ala e gli dicono che ha piena licenza di muoversi a piacimento e di segnare. “Nacka” fa sfracelli per tutti i novanta minuti, mettendo in seria difficoltà tutta la difesa titolare. A fine partita non ha nemmeno il tempo di cambiarsi che è subito braccato dai dirigenti della nazionale per verificare se ha i documenti necessari per affrontare il lungo viaggio alla volta del Sud America. La competizione mondiale sarà quella del destino. Lennart viene messo in campo a far coppia con Palmér spaziando su tutto il fronte d’attacco. Arrivano così gioco, gol e spettacolo. La Svezia di Jeppson e Sundqvist sale in cattedra e offre lezioni di calcio a buon mercato: la compagine scandinava umilia anche l’Italia di Carapellese e Pandolfini ed arriva terza assoluta.
“Nacka”, così soprannominato per via del quartiere nativo, è rapido ed inventivo, leggero e potente, dotato di un tiro preciso e portentoso. Le sue brucianti incursioni sull’ala sinistra attirarano subito l’attenzione di molti osservatori, tra cui quelli del San Paolo che gli offrono un ingaggio da oltre diecimila dollari. Sono un sacco di soldi. Sembra fatta. A quell’epoca i contratti valgono quanto e più degli attuali, ma “Nacka” è ormai in scadenza e all’AIK il suo futuro è segnato, poco più di un posto fisso da venditore di persiane e di un appartamento in centro città. Lennart aveva deciso da tempo che quel mondo gli andava troppo stretto e che quella vita magnifica meritasse di più. Skoglund aveva deciso, ben prima dell’importante torneo, che avrebbe lasciato la Svezia per una nazione dove si mangiasse pane e football.
Quella era decisamente la sua occasione. Non si era mai visto che un attaccante svedese se ne andasse a giocare nella patria del futebol. Ma la sorte era di diverso avviso e ci si mise d’impegno. Capitò, infatti, del tutto inopinatamente, che un dirigente della sua squadra di club, l’AIK, accompagnasse, per una noiosa vicenda di rotazioni, la nazionale durante la spedizione oltre Atlantico. Fu lui a mettersi di traverso, facendo saltare l’affare andato ormai in porto e convincendo Lennart a resistere a quelle sirene e, soprattutto, a tutti quei soldi. Skoglund si lasciò convincere: restituì il contratto al San Paolo senza averlo siglato, ringraziando cortesemente i perplessi e stupiti emissari del club brasiliano. In verità quella mancata firma si rivelò un vero affare per “Nacka”, perché, rientrato in patria, nel giro di sole poche settimane finì, grazie ai buoni offici dell’intermediario Davies, per essere ceduto all’Internazionale per una somma cinque volte superiore.
A Milano Skoglund trova la definitiva consacrazione. Con i nerazzurri guidati da Foni vince due storici scudetti, nel 1953 e nel 1954, formando un temibile tridente con prolifici e “velenosi” talenti come Istvan Nyers e Benito Lorenzi. Rimarrà nella città lombarda sino al 1959, disputando 241 partite e segnando 55 gol. Poi finisce a Genova, sponda Doriana, dove rimarrà solo un paio di stagioni trasferendosi, quindi, a Palermo, prima di tornare a casa per chiudere la carriera dove era iniziata, all’Hammarby, con la cui maglia conquisterà, nel 1964, una storica promozione.
La fine dell’attività risveglierà molti fantasmi e demoni sopiti. “Nacka” continuerà a correre, questa volta non per seminare i difensori ma per tenere a debita distanza i creditori ed un sempre più ingombrante problema d’alcolismo. La sua parabola si concluderà mestamente solo qualche anno più tardi per un attacco di cuore. Lennart muore da solo a soli quarantasei anni, isolato e lontano dal mondo che lo aveva applaudito. Ciò nonostante le sue imprese non furono mai dimenticate. Dieci anni più tardi davanti alla sua casa del suo vecchio quartiere, il Comune di Stoccolma eresse una statua in sua memoria, ribattezzando, nel 2001, la piazza in “Nacka Hörna”, “L’angolo di Nacka”, un gioco di parole buono sia per celebrare un bellissimo scorcio di Stoccolma ma anche una della sue più esaltanti imprese balistiche, un gol dei suoi, belli e impossibili, una rete segnata direttamente dalla bandierina del calcio d’angolo.