13 Set Once in a lifetime: Walter Bonatti
Il 13 settembre 2011 muore a Roma Walter Bonatti, di professione giornalista, scrittore, esploratore di terre lontane e, soprattutto, scalatore di cime. Al pari di Messner, Walter ha rappresentato l’essenza in purezza dell’alpinismo, la sua anima più autentica al cospetto del respiro profondo della natura. Bonatti scalava con mezzi e attrezzature ridicoli rispetto agli attuali. Lo faceva sempre con rispetto e attenzione. Arrampicava con naturalezza e senza clamori, in punta di piedi, a mani nude, per il piacere della salita, mai per l’ansia di arrivare. Le sue imprese estreme, gli ottomila, la spedizione del K2, le prodigiose scalate, l’apertura di vie impervie e inespugnate (dal Grand Capucin alla torre verticale del Petit Dru, da Punta Whymper sulle Grandes Jorasses alla Nord del Cervino) parlano da sole e raccontano una forza e un’abilità alpinistica fuori dal comune.
Un’intera notte nella “zona della morte”.
Bonatti non è stato solo l’uomo della “Gran Becca” e del Bianco, ma fatalmente anche quello del K2. Ciò che accadde lassù, nella “zona della morte”, durante l’ascesa alla vetta della spedizione italiana del 1954 lo segnò per tutta la vita. Non tanto per le difficoltà incontrate e l’incredibile esperienza a cui sottopose il proprio fisico, quanto piuttosto per le falsità e le maldicenze con cui quella vicenda venne indegnamente trattata dalla sua stessa delegazione e dai principali protagonisti. Le operazioni per la conquista della seconda montagna più alta del mondo erano state condotte da Ardito Desio con piglio degno di una missione militare. La spedizione italiana avrebbe cercato di violare la vetta seguendo lo Sperone Abruzzi, incamminandosi lungo i ripidissimi rilievi della cresta sud-est sino al temibile “collo di bottiglia”, per aprirsi quindi la strada verso la cima. Dopo un lungo periodo trascorso al campo base, settimane di nuvole e ghiaccio, qualche strisciante malumore ed un drammatico lutto, Desio decide che è ormai tempo di rompere gli indugi. Così, negli ultimi giorni di luglio, non appena il tempo sembra dare qualche garanzia di stabilità, la coppia designata e composta da Lacedelli e Compagnoni si mette in marcia verso la vetta. Il loro sarà un avvicinamento lento e costante. I due procedono secondo i piani, campo dopo campo. Hanno bisogno di bel tempo, un pizzico di buona sorte e un costante rifornimento di ossigeno.
La versione di Walter.
A portare le bombole vengono incaricati gli alpinisti più giovani e in forma del gruppo. Ahmir Mahdi e Walter Bonatti risalgono così le pendici del K2 sino oltre quota 8100, alla volta del Campo IX, l’ultimo da cui Lacedelli e Compagnoni daranno l’attacco finale alla vetta. Bonatti e Mahdi stanchi e spossati lo cercano per ore ma non lo trovano. Il bivacco non è nel luogo indicato. Nel frattempo cala il buio e la bufera, e i due si ritrovano così bloccati sotto le rocce del “collo di bottiglia”, costretti a fermarsi per una notte intera all’addiaccio combattendo contro il gelo e un principio di assideramento. Bonatti racconterà di aver visto nel buio della notte, a molti metro di distanza, la luce del bivacco dei due compagni e di avere chiesto aiuto a gran voce per ore, ottenendone, per tutto contro, solo l’invito a depositare le bombole in quel punto ed a scendere, cosa che si vide costretto a fare alle primissime luci dell’alba del giorno successivo. Su questa circostanza fiorirono accuse e falsità. Si parlò di invidie e paure, di campi spostati all’ultimo momento solo per impedire al giovane Bonatti di unirsi alla squadra designata per l’attacco alla vetta, e di quelle famigerate bombole che, secondo Compagnoni e Lacedelli, non vennero lasciate sul posto né utilizzate quindi per la salita finale, nonostante le foto scattate sulla cima indicassero il contrario. Ardito Desio si affrettò ad accreditare pubblicamente la versione dei due alpinisti arrivati in vetta e Bonatti venne così abbandonato ad una malevola campagna stampa ed al cono d’ombra del sospetto. Quella vicenda si trascinò per molti anni sulle pagine dei quotidiani finendo anche in tribunale. Bonatti fu messo all’indice ed emarginato. Walter, però, tenne duro, e, dopo una lunga e ostinata battaglia, nel 2004 un comitato di saggi nominati dal C.A.I. fece finalmente luce sugli avvenimenti ratificando integralmente la sua versione e restituendogli così onore e verità.
L’incredibile scalata al Petit Dru.
In tutta quella triste storia Bonatti non si perse mai d’animo. Non era certo abituato a farlo. Aveva resistito, come fosse in parete, a tutta quella pioggia di accuse ingiuste e volgari maldicenze, all’accanimento e all’invidia, e alla fine era riuscito a ristabilire la verità. Perché Walter era fatto così. Se una cosa non andava per il verso giusto, trovava sempre il modo di venirne a capo con forza, serenità e determinazione. Bonatti aveva un gran cuore, era un uomo saldo, di grandi passioni, profondi valori e smisurata cultura, a cui la vita riservò spesso terribili prove. La sua è, infatti, una storia di grandi imprese e momenti drammatici, come quando una tremenda tormenta si impadronì del Monte Bianco mentre stava salendo lungo il Pilone Centrale del Freney. Per me, però, Bonatti è quell’incredibile salita al Petit Dru, un infinito spuntone di roccia liscio e affilato come una lama che incide il cielo ad oltre 3700 metri. Bonatti lo scala in solitaria, facendo ben cinque bivacchi in parete. Ad un certo punto dell’arrampicata, Walter deve però fermarsi. E’ bloccato. Non può attraversare, né andare a destra o a sinistra. Non può salire, né scendere. E’ lì fermo, inchiodato alla parete a centinaia di metri da tutto, ma non si lascia prendere dal panico. Riflette per ore, appeso ad una corda, cercando una via d’uscita. Poi, ha una straordinaria visione. Qualche metro sopra la sua testa, Walter scorge una sporgenza. E’ un appiglio appena accennato, ma decide di provarci. Collega tutti i cordini e i materiali ancora disponibili e forma una sorta di rampino con cui tenta pazientemente, per decine e decine di volte, di raggiungere quel piccolo spuntone di roccia. Poi, finalmente la sorte sorride e aggancia la corda a quel piccolo dente di pietra. E’ così che Walter può cominciare cautamente ad oscillare di lato, come fosse un acrobata o un mago, sempre di più, sino finalmente a trovare una presa sul fianco di quella lastra levigata. Walter recupera la corda, stringe la presa e riprende a salire. Ecco, Bonatti è tutto lì. E’ genialità e coraggio, visione e forza, temerarietà e rispetto, calma e determinazione. Bonatti è stato tutto questo: la salita e la discesa, la cultura e il dialogo, il sapere e la saggezza, e, soprattutto, l’idea di andare sempre avanti, senza fermarsi mai, in qualsiasi modo e in qualsiasi condizione, con l’umile e ferrea convinzione di poter superare tutte le prove, anche le più difficili.
“I miei maestri sono stati Hemingway, Jack London, Defoe, Melville, ai quali devo dire grazie se non ho avuto paura di invecchiare. La loro avventura è stata la mia. In montagna devi stare solo con i tuoi mezzi, con le tue incertezze, per scoprire il tuo carattere, senza possibilità di aggrapparti a qualcosa o a qualcuno. La solitudine è angosciosa, ma è un percorso, acutizza le sensibilità, ti forza a cercare in te stesso la soluzione. Devi essere onesto, guadagnarti i tuoi saperi, costruirti con la prudenza e l’ esperienza.”