25 Nov Once in a lifetime: Steve Heighway
Il 25 novembre 1947 nasce a Dublino Stephen Derek Heighway, di professione calciatore. Per una delle tante, strane insondabili traiettorie che hanno incrociato questa mia esistenza, l’iconica figurina di una giovane e promettente ala sinistra di nome Steve Heighway entrò casualmente a far parte della mia vita di bambino, trascinandosi in scia tutto il fascino del calcio britannico e con esso il Subbuteo e quel fantastico alfabeto di desideri, la maglia rossa del Liverpool, Anfield, Shankly e, ovviamente, quel magico pallone bianco che sembrava volare, aprendo così la strada a molti numeri di Shoot! e Match, agli annuals e a un imbarazzante numero di sogni infranti. Non ho mai compreso da dove fosse piovuta quella figurina. Quantomeno non lo ricordo. Quello che importa è che da quel preciso momento è come se fossi stato contagiato da un morbo raro che ha fatto di quel calcio una lunga convalescenza che si lascia ancora oggi alle spalle una lunga coda di riviste, abbonamenti, libri ed altre irresistibili icone di carta.
Una carriera atipica
Per me Heighway è stato tutto questo, ma, nel mondo reale, è stato forse anche molto di più. A differenza di molti suoi colleghi, Steve è arrivato al calcio professionistico decisamente avanti negli anni, addirittura dopo una laurea in Economia rimediata all’Università di Warwick. Steve entrò nel calcio che contava per merito di un paio di coraggiosi osservatori. Perchè videro quella prodigiosa ala sinistra giocare con i dilettanti dello Skelmersdale United e se ne innamorarono al punto tale da convincere il geniale Shankly. Lo raccomandarono, gli dissero che non ne sarebbe pentito, che, nonostante la non più tenera età, sarebbe diventato uno dei più grandi colpi di mercato di sempre. Non fecero fatica, perché, come è risaputo, a Bill coraggio e intuizione non difettavano di certo. Furono buoni profeti, perché Andò esattamente così. Steve, lo sconosciuto attaccante irlandese che veniva dai dilettanti, deliziò la Kop, i tifosi di Liverpool e di tutto il Regno Unito per undici lunghi anni, durante i quali conquistò praticamente il conquistabile, qualcosa come quattro titoli nazionali, una FA Cup, due Coppe di Lega, tre Coppe dei Campioni, due Coppe Uefa e una Supercoppa.
Quella sottile linea rossa
Heighway presidiava il temibile lato sinistro dell’attacco dei Reds. Fu l’alter ego di Keegan, prima, e di Dalglish, poi. Il suo mestiere era quello di seminare il panico sulla fascia per servire incredibili spioventi a beneficio del gigante gallese Toshack o di Johnson. In realtà Steve era una punta di grande mobilità, agile e duttile che si adattava perfettamente a quell’attacking football che rappresenta da sempre non solo il marchio di fabbrica dei Reds quanto piuttosto la loro più vivida essenza ed il modo stesso di concepire la vita, lo sport e le avversità. Steve era pericoloso quando scappava via lungo la linea laterale ma anche quando faceva a fette il fronte offensivo con velenosi traversoni che mettevano in apprensione anche le difese più attrezzate. Con Paisley Heighway divenne un riferimento sia in campo che fuori. Era in campo nella finale di Coppa con il Newcastle, c’era nel doppio epico scontro di coppa con il Borussia Moenchengladbach o nella finale contro il Bruges. Steve ha incarnato alla perfezione la dinamica visionarietà di quel calcio d’attacco, un football veloce e asfissiante, fatto di repentine verticalizzazioni, accelerazioni sulle fasce laterali e cross perfetti, un perfetto mix di forza, stile e potenza che ha fatto sognare la Kop e un’intera generazione di appassionati. Perché Heighway, il suo perfetto controllo di palla e la sua straordinaria classe erano il gioco del Liverpool, ruvido ed elegante ma anche agile e chirurgicamente preciso. Heighway ne divenne il principale protagonista, l’icona più credibile.
L’Academy dei Reds
Terminata la carriera, Steve ha assunto per molti anni la guida dell’Academy del Liverpool mietendo un’altra lunga messe di successi e consegnando in dote al calcio inglese alcuni dei maggiori giovani talenti di sempre (da Fowler a McManaman passando per Gerrard, Carragher e Owen). Steve ha dimostrato grande capacità nel gestire i calciatori più giovani, tenendoli lontano dalle lusinghe dei procuratori e pretendendo da loro maturità, lavoro e impegno. In questo Heighway ha sempre avuto idee molto chiare, perché il mestiere del calciatore rimane il più bello almeno sino a quando non si commettono errori o ci si abbandona alla mercé di facili ingaggi e distrazioni. Quando si finisce in quel vicolo cieco, il calcio sa anche diventare un incubo molto ben retribuito. Il suo credo ha fatto scuola dalle parti di Melwood. La sua franchezza e la sua onestà sono sempre state apprezzate. Dal primo giorno in cui un aspirante campione metteva piede da quelle parti, Steve lo preparava al giorno in cui fatalmente sarebbe venuto il momento di lasciare quel campo e di cambiare la propria direzione, fosse stato dopo solo una settimana, un anno o una vita intera. Il tempo che passava e il vento non più a favore gli consigliarono di farsi da parte e Steve così fece, ancora una volta senza polemiche ed in silenzio. La buona notizia di questi giorni è che Heighway ha nuovamente dispiegato le vele ed è rientrato, da qualche settimana nei ranghi, pronto a ricominciare una nuova e stimolante avventura. Per tutto questo, per la dedizione, la serietà, quel grande cuore e un’incredibile abilità, Heighway è diventato una leggenda dalle parti di Anfield. E quando quella figurina sbiadita torna di tanto in tanto nelle mie mani capisco quanto sono stato fortunato ad avere, seppur indirettamente, vissuto di riflesso una piccola parte di quella sua emozionante epopea.