25 Dic Once in a lifetime: Jairzinho
Il 25 dicembre 1944 nasce a Rio de Janeiro Jair Ventura Filho, noto ai più come Jairzinho, di professione calciatore. Sin dalla metà degli anni Sessanta Jairzinho ha interpretato il volto spregiudicato del calcio brasiliano e la sua natura più imprevedibile e ribelle, divenendo un’icona per almeno un paio di generazioni di appassionati. Perchè il giovane Jair arrivava dallo stesso club del grande Manè Garrincha e perchè fu, tra i prodigiosi talenti di quella nidiata, il primo ad espatriare, con destinazione la terra di Francia, ma anche, però, il primo a rientrare precipitosamente in patria dopo una sola stagione, un mare di guai ed una serie di controverse vicende, tra cui anche una violenta aggressione ad un guardalinee.
Un gioco agile, tecnico, veloce e aggressivo
Jairzinho colpì l’immaginario calcistico dei tifosi per classe e velocità. Il suo nome si accostò, infatti, sin da subito ad un gioco agile, tecnico, veloce e aggressivo. Jair divenne un’idolo per la lucida modernità con cui interpretava il ruolo di trequartista, muovendosi liberamente alle spalle delle punte, senza dare mai riferimenti, con quella medesima dinamicità che diventerà in seguito il marchio di fabbrica di un giovane olandese di nome Johann Cruyff. Jairzinho era lo spunto, l’apertura improvvisa, lo slalom, l’assist per i compagni e, quando trovava spazio, anche un micidiale e fortissimo tiro.
Una folgorante carriera
Nato calcisticamente nelle giovanili del Flamengo, Jair era esploso come centravanti nelle file del Botafogo dove trascorse dodici lunghi anni di successi e soddisfazioni. Il Mondiale tedesco avrebbe dovuto consacrarlo ma la Selecao non riuscì a ripetere i fasti di quattro anni prima. Jairzinho andò comunque a segno e mise in mostra un repertorio di gran classe. Al termine dei campionati, per aggiudicarsi i suoi servigi si sviluppò una combattutissima asta. A spuntarla furono i francesi del Marsiglia, ma quell’esperienza non avrebbe regalato le soddisfazioni sperate. Troppo distante quel calcio asfissiante, troppi impegni e stress per un giocatore che a football giocava per divertirsi e che fuori dal campo amava prendere le cose con comodo, senza pressioni e troppe attese. Tutta quella tensione crebbe anche sul campo di gioco sino a quando deflagrò in un’accesa discussione con arbitro e guardalinee. Quel crescente disagio si trasformò in un aperto conflitto con la società che, considerando anche le non brillanti prestazioni, decise di restituirlo al mare con destinazione Belo Horizonte. Qui, con la maglia dei “Celesti” del Cruzeiro, Jair tornò ad essere il protagonista di sempre, conquistando una storica Coppa Libertadores ed entrando così negli annali del calcio carioca.
I Mondiali del 1970
Il suo astro era inaspettatamente sorto qualche anno prima, durante nei vittoriosi mondiali del 1970, quando divenne l’autentica rivelazione della squadra di Zagallo, la perla rara di quel modulo magico e temerario. Quel Brasile non fu solo una fortissima nazionale ma rappresentò una sfida culturale a trent’anni di rigidi precetti, un pugno nello stomaco ai teorici del pallone. Saldanha, prima, e Zagallo, poi, riuscirono ostinatamente a schierare, per la prima volta nella storia del calcio, ben cinque numeri 10 contemporaneamente: Pelé, Tostao, Gerson, Rivelino e, lui, il giovane e tricotico Jairzinho del Botafogo. Zagallo, giudicato alla stregua di un pazzo mitomane dalla stampa di mezzo mondo, affidò a Gerson la cabina di regia, fece di Pelé e Rivelino due agilissime mezzepunte, trasformò Tostao in un finto centravanti e mandò Jairzinho all’ala destra, a scorazzare su e giù per tutta la fascia e a fare la punta pura come negli esordi con il Botafogo. Era il Brasile dei miracoli, quello del sogno e dell’avventura, quello che conquistò una frontiera nuova ed inesplorata. I risultati diedero ragione alle idee di Saldanha e Zagallo. La Seleção fece meraviglie, conquistando il titolo mondiale nel modo più eclatante e sonoro. Jair andò a segno in tutte le sei partite, realizzando ben sette reti e guadagnandosi il soprannome di Furação (Uragano).
La partita di Guadalajara
Fu lui a segnare il gol decisivo contro i campioni in carica dell’Inghilterra il 7 giugno 1970 a Guadalajara, nella partita che passò alla storia per la straordinaria parata di Banks su un colpo di testa assassino di Pelé. O Rey si era alzato in volo agevolmente sul difensore inglese ed aveva arpionato con violenza quel pallone sparandolo verso la porta avversaria. Un colpo forte e preciso, alla sua maniera. La traiettoria era talmente perfetta e velenosa che ogni tentativo di opporsi sarebbe stato pressochè impossibile. Ma invece avvenne il miracolo, perché, mentre il brasiliano stava già urlando al cielo la sua gioia, Gordon Banks si inarcò in un impossibile angolo basso e acuto sino a deviare la sfera. L’intervento portentoso del portierone inglese fu il frutto di un riflesso incondizionato, tant’è che nemmeno lui sembrò accorgersi del miracolo. Gordon sentì solo il boato della folla, si voltò verso le gradinate e fu solo allora che scorgendo la sfera nei pressi dei cartelloni pubblicitari comprese quello che aveva fatto. La palla non era entrata in rete, Pelé non aveva fatto gol e la partita era ancora sullo zero a zero. Quell’instabile equilibrio era però destinato a rompersi. Al 15esimo della ripresa la sorte premiò la pressione brasiliana. Tostao semina il panico con un’infinita serpentina sull’estremità di sinistra dell’area di rigore inglese servendo Pelè con una deliziosa palombella. Il grande O Rey ammaestra magicamente il pallone offrendolo all’accorrente Jairzinho. E’ suo l’imparabile fendente che questa volta trafigge Banks all’incrocio dei pali. La rete consegna alla Seleção il primato nel gruppo 3 spalancando le porte all’impresa. Jairzinho avrebbe segnato altre cinque volte spingendo il Brasile nei quarti di finale contro il Perù, nelle semifinali contro l’Uruguay e, infine, nella finalissima contro l’Italia di Valcareggi. Singolarmente però Jair non si aggiudicò il titolo di capocannoniere, perché dovette purtroppo inchinarsi all’estrema prolificità di Gerd Mueller che fece ben tre gol in più. Ma quella sua straordinaria continuità rimase comunque nella storia, perché nessuno dopo di lui è più riuscito a ripetere l’impresa. Anche per questo il suo calcio è entrato nella leggenda e nel guinness dei primati.