15 Gen Once in a lifetime: Luigi Radice
Il 15 gennaio 1935 nasce a Cesano Maderno, nel cuore della Brianza, Luigi Radice, di professione giocatore e allenatore di calcio. In panchina, come in campo, Gigi era un duro, uno che non conosceva compromessi, che lavorava sempre per il gruppo e non mollava mai di fronte alla fatica e sacrificio. Radice non aveva un carattere facile. Faceva sempre di testa sua e, quando si presentava un problema, lo affrontava di petto, con franchezza, passione e generosità, “bruciandolo” con quegli occhi di ghiaccio, senza piegarsi mai. Lo soprannominarono “tedesco” e “sergente di ferro”, ma per tutti i suoi ragazzi rimase solo “Radix”, il mister dello scudetto.
Un terzino veloce e determinato
Radice con quel carattere tosto e piantato ci era nato. Quella determinazione se la portava dietro sin dai primi anni di vita, sin da quanto, poco più che un ragazzino, era approdato alle giovanili rossonere. Prometteva bene. Si capiva da quella carica e tensione che Luigi sarebbe andato incontro ad una grande carriera professionistica. Infatti fece strada ed in poco tempo approdò alla prima squadra del Milan di Rocco con il compito di presidiare la fascia laterale macinando palloni e chilometri per tutta la lunghezza del campo. Ma il destino non gli concesse troppo credito. Di strada, infatti, Gigi ne avrebbe potuta fare molta di più se un avvelenato tackle del sampdoriano Cucchiaroni non gli avesse rubato il ginocchio, una gioventù sventata e tutto il futuro. La sua carriera di veloce terzino fluidificante terminò troppo prematuramente, nel dolore e con qualche giustificato rimpianto. Era solo il 1963. Non aveva nemmeno compiuto trent’anni e con il calcio era già costretto a chiudere. Aveva pensato allora di lasciarsi tutto alle spalle, di dimenticare, come si fa con gli amori più intensi e dolorosi. Si mise a inventarsi una nuova vita provando a vendicarsi dell’infausta sorte. Si sedette così dietro una scrivania, con cravatta e doppiopetto, e si mise a fare l’assicuratore. Durò poco, perché, ancora una volta, la sorte aveva in serbo ben altri piani.
Il ritorno del “tedesco”
Gli dei del pallone gli offrirono, quasi per caso, una seconda chance e lui, il “sergente di ferro”, non si fece pregare accomodandosi in panchina a fare l’allenatore e a dirigere il “suo” Monza. Fu l’inizio di una nuova, lunga e straordinaria carriera. In due anni Gigi conquista una promozione in serie B ed una storica salvezza. Seguirono, quindi, molte altre piazze e squadre, tra cui Cesena, Fiorentina e Cagliari. Di stagione in stagione, di risultato in risultato, la fama di allenatore vincente crebbe sino a quando la sua traiettoria non finì per incrociare quella di Orfeo Pianelli e del Torino, la cui panchina aveva sin lì avuto l’onore di ospitare i più illustri e stimati docenti del “gioco all’italiana”, dal “Paron” a Edmondo Fabbri passando per Cadè e Giagnoni, Pianelli è impegnato in un’intelligente opera di ricostruzione societaria. Fu amore a prima vista. “Radix” a Torino trova sin da subito un fantastico feeling con città e tifosi e fa sfracelli. I giocatori lo seguono incuriositi dal suo calcio, da quel continuo movimento senza palla che fa girare la testa alle squadre avversarie. Gigi e la sua determinazione incarnano al meglio l’anima di quella gloriosa società, lo spirito, la voglia di fare e soprattutto quella di riprendersi quel ruolo che solo la mano di un tragico destino aveva ingiustamente strappato. Serviva proprio uno con il suo cognome per ridare linfa a quell’albero. Gigi punta tutto su una manciata di giovani talenti. Gioca in modo moderno ispirandosi al calcio totale. Il Torino acquisisce rapidamente una mentalità vincente e quando va in campo cerca sempre di imporre il proprio gioco con caparbietà e fierezza, con sagacia e intelligenza, coniugando la zona e il “pressing” olandese di Michels con una grande attenzione per la fase difensiva ed una spregiudicata predilezione per il fuorigioco. Il suo calcio veloce e aggressivo conquista punti e vittorie e regala sogni quasi impossibili a curve e tribune.
Uno storico scudetto
Alla prima stagione in granata Gigi vince uno storico scudetto e, per diversi anni, mantiene saldamente il Toro nelle prime posizioni del campionato, facendo del derby della Mole contro la Juve l’appuntamento clou della stagione. Poi, sul più bello, il destino gli chiede nuovamente di passare a regolare i conti. Il 17 aprile del 1979 Radice va a tutta velocità incontro alla sorte: un gravissimo incidente d’auto gli strappa per sempre l’amico e collaboratore Barison e lo lascia per giorni in bilico tra la vita e la morte. Ma Radice vince anche quella battaglia e torna ad allenare e vincere alla sua maniera. Dopo l’esperienza granata ci sarà anche spazio per Bologna, Inter, Milan, Fiorentina, Roma, Cagliari. Saranno stagioni alterne, trascorse sempre a muso duro e a denti stretti al cospetto di presidenti e giocatori, tra esoneri, porte che sbattono, litigi, mormorii e anche qualche liaison dangereuse di troppo. Si ritira dal calcio a soli 63 anni. Oggi, mentre è impegnato a dare battaglia ad una malattia vigliacca e silenziosa come l’alzheimer, il mondo del calcio pare averlo del tutto dimenticato. E’ davvero un peccato che Gigi abbia perso la memoria dei suoi tanti successi e di quella straordinaria epopea. Anche per questo è importante preservare e custodire i ricordi di quelle incredibili stagioni, di quelle brillanti intuizioni e, soprattutto, della grande lezione d’umanità che ha sempre impartito sia da giocatore che da allenatore, anche e soprattutto quando, per salvaguardare i suoi uomini, doveva tenere il punto, alzare la voce e serrare i ranghi. Perché Gigi nella sua vita ha sempre messo gli altri, la squadra e il collettivo davanti ad ogni cosa, spesso e volentieri anche alle sue stesse esigenze.