05 Feb Once in a lifetime: Cesare Maldini
Il 5 febbraio 1932 nasce a Trieste Cesare Maldini, di professione giocatore e allenatore. Maldini ha percorso un’incredibile parabola sportiva durata più di mezzo secolo durante la quale ha onorato il calcio ai massimi livelli con grande dignità e rispetto. Lo stile, l’eleganza e quel modo di fare sobrio, schietto e genuino, con cui difendeva sempre le proprie ragioni con piglio viscerale e appassionato ma pur sempre corretto ne hanno fatto un assoluto protagonista d’altri tempi.
Un calcio signore, robusto e agile
Maldini veniva da un calcio signore, maschio e gentile, robusto e agile, di grande temperamento, tecnica e stile. Cesare era un gigante. Giocava da ultimo uomo davanti al portiere. Faceva il libero, qualche volta il mediano. Aveva un grande pregio tattico, perché sapeva interpretare il suo ruolo in modo estremamente dinamico. Maldini aveva un raro dono, lo stesso che sarebbe appartenuto ai più grandi ed ai fuoriclasse di ere successive, come Baresi, Scirea, Krol e Tricella. Cesare, infatti, riusciva sempre ad intuire e leggere con prontezza le manovre avversarie. Il suo era un ben strano modo di guadagnarsi pane e gloria. Cesare sfidava il tempo sul filo dei secondi, ballando in quella ristretta zona di campo dove anche anche il minimo ritardo determina in genere fortune e disgrazie decidendo del destino di squadre, giocatori e allenatori. Cesare aveva il dono della puntualità. Grazie all’esperienza aveva affinato quelle attitudini sino a tramutarle in una vera metafisica delle piccole cose. Era come se avesse trovato la formula magica, la perfetta alchimia per comprendere i movimenti in campo delle punte avversarie riuscendo così a intervenire puntualmente a spezzare le trame offensive consegnando alla propria squadra la potente arma di un velenoso contropiede. Pattugliare quel confine era lavoro per cuori impavidi, un mestiere decisamente rischioso e qualche volta la troppa confidenza lo spingeva anche a rischiare oltre il lecito. Le urla di San Siro si alzavano al cielo: peccati d’eleganza, vezzi di gioventù, incerti d’artista, talvolta vere e proprie figuracce e purtroppo anche gol. Le sue proverbiali “maldinate” facevano regolarmente salire la pressione al “Paron” Rocco che dalla panchina urlava al suo indirizzo cose irripetibili salvo poi essere il primo a consolarlo bonariamente negli spogliatoi. Ma non serviva comunque molto a spronarlo, perché capitava regolarmente che Cesare riuscisse a rimediare ai suoi errori trovando immediato riscatto.
Un moderno interprete del ruolo
Cesare è il primo interprete moderno del ruolo, il valore aggiunto della Triestina, prima, e del Milan di Rocco, poi, con cui vivrà alcune delle più belle stagioni rossonere di sempre, tra trofei, titoli e grandi soddisfazioni. Al Milan, che lo acquista per la ragguardevole somma di 58 milioni, si inserisce perfettamente, con garbo e fermezza. Quel suo stile limpido, quella tecnica sopraffina, quei suoi piedi vellutati e sapienti conquistano subito pubblico e tecnici. Nelle dodici stagioni in rossonero giocherà 347 partite strappando ai rivali storici 4 titoli nazionali e diverse Coppe. Il suo giorno più lungo fu però quello del 22 maggio 1963 quando guadagnò l’onore di guidare da capitano la squadra rossonera, quella leggendaria composta da Altafini, Sani, Trapattoni, Pivatelli e il giovane Rivera, alla conquista della Coppa dei Campioni. Quel pomeriggio a Wembley Cesare alza per primo il trofeo al cielo toccando forse l’apice più alto della sua lunga carriera ed entrando per sempre nella storia.
L’erede spirituale del “Paron”
Maldini è stato l’erede spirituale del “Paron”, delle sue idee e di quel suo calcio saggio, scaltro e redditizio. Per questo e per quella sua specialità di “vedere” il gioco ben prima che si concretizzasse in campo, il “Paron” lo volle al suo fianco in panchina a fare il “secondo”. Anche perché avrebbe fatto da ancoraggio al vascello. Cesarone era da sempre un uomo squadra, l’anima dello spogliatoio, quello che gestiva i rapporti e che aveva il compito di intercettare gli sbuffi e i “mal di pancia” dei giocatori, ascoltando sempre con cortesia ma intervenendo anche con decisione e determinazione. Cesare divenne così l’ombra, l’alter ego di Nereo: era quello che allenava il Milan dal campo e quello che si faceva avanti e ci metteva la faccia ogni volta che era necessario. Maldini non guidava semplicemente le sue squadre dalla panchina, ma le motivava, piuttosto. Le tendeva come fossero un elastico sino a caricarle in vista dell’obiettivo finale. Per questo, nonostante tattiche e moduli che guardavano spesso al passato, il suo è sempre stato un calcio di grande modernità, fatto di trame e materia umana, di flessibilità e carattere, di valore, classe ed emozione.
Giocatore, capitano, allenatore, direttore tecnico e osservatore
Nella sua storia Maldini è stato molte cose: giocatore, capitano, allenatore, direttore tecnico, papà di Paolo e osservatore. In carriera ha conosciuto anche l’onore della maglia azzurra, non solo come giocatore, ma anche come allenatore in seconda con Bearzot nella storica conquista del titolo mondiale in Spagna nel 1982 e come titolare della panchina nella sfortunata spedizione francese del 1998. In azzurro, Cesarone è però stato, anche e soprattutto, il grande protagonista di uno dei più bei decenni del calcio giovanile, guidando la Nazionale Under 21 alla conquista di tre incredibili titoli continentali e regalando una straordinaria mentalità vincente ad un folto gruppo di futuri protagonisti del calcio nazionale. Maldini ha attraversato cinquant’anni di calcio rimanendo sempre se stesso, una persona saggia ed elegante, leale e affidabile, uno di quelli dalla schiena dritta, stabile come una colonna ma anche flessibile e astuto come e più del vento. Ha continuato a volere bene a quel gioco, anche quando ha infine realizzato che quel carrozzone sarebbe finito in una zona d’ombra fatalmente distante dai suoi sogni. “Anche se hai un grande talento, senza volontà non vai da nessuna parte. E’ una questione di vocazione, passione, fame e motivazione. Ogni giovane dovrebbe avere dentro un’irresistibile voglia di realizzarsi e di arrivare in cima. Ovunque, non solo nei campi da calcio.”