10 Mar Once in a lifetime: Barry Sheene
Il 10 marzo 2003 muore a Sydney, nella sua casa di Gold Coast, Barry Sheene, di professione pilota motociclistico. Barry annullava distanze. Quelle che in pista lo separavano da chi lo precedeva, come quelle che distinguevano il successo dalla caduta. Nel suo mestiere di equilibrista della velocità aveva imparato a gestire entrambe con estrema sicurezza e spavalderia. E quando il destino aveva deciso di metterlo alla prova, lui ne era sempre uscito sulle sue gambe, magari pure con il sostegno delle stampelle o grazie a corpose batterie di placche, perni e viti. Perché se non aveva chiuso anzitempo la sua straordinaria carriera lo doveva proprio a quarantatre piccole viti di acciaio, quelle con cui i chirurghi gli avevano ricomposto le ossa delle gambe scongiurando il rischio di un’infermità permanente. Sheene non mollò mai, nemmeno quella volta. Perché Sheene non era solo un’icona spregiudicata. Sheene era l’anima, lo spirito dello sport motociclistico, il paradigma del pilota veloce e scavezzacollo, creativo e competente, folle e appassionato.
Compagni di bisboccia
In quei turbolenti anni Settanta, Barry era diventato il compagno di bisboccia preferito da Hunt. Come James, Barry amava la velocità, la vita e le donne. Si erano subito piaciuti perché entrambe spingevano la vita sino alle estreme conseguenze e talvolta anche oltre, in pista come lontano dal paddock o dalla corsia dei box. Sheene correva sfidando apertamente schemi, regole e convenzioni. La sua condotta di gara ricordava quella di Hunt “The Shunt”. Correvano, infatti, come se non fosse mai esistito un domani. Se c’era una traiettoria contraria alle leggi della fisica, era quella che aveva appena tracciato, se esistevano sorpassi impossibili, erano quelli che aveva appena consumato ai danni dei massimi avversari dell’epoca, di Giacomo Agostini, Kenny Roberts, Marco Luchinelli, Phil Read o di Johnny Cecotto. Barry consumava avidamente ogni singolo secondo della propria esistenza. La considerava un regalo troppo grande per lasciarla scappare via senza rincorrerla. Il rischio era solo una piccola parte di tutta quella smisurata grandezza, sicuramente la più appagante. Così Sheene aveva scelto di andare sempre alla massima velocità, anche quando toglieva il casco e si accendeva una Gauloises annegando tutta la tensione in un bicchiere di birra.
Linee magistrali
Barry correva in maniera talmente originale che lo si sarebbe riconosciuto tra mille. Sarebbero bastate quelle traiettorie o la perfetta postura con cui dominava le pieghe dell’asfalto. Lo avevano soprannominato “Iron Man” perché, con tutti quei chiodi in corpo, ogni volta che prendeva l’aereo faceva suonare i metal detector rischiando anche di rimanersene a terra. Barry non conosceva ostacoli o paura. Sarebbe bastata la metà dei suoi incidenti per convincere chiunque a farla finita con quella vita. Ma Barry si riprese sempre e tornò ogni volta alle corse nonostante le prescrizioni ed i pressanti inviti dei medici. Più di una volta si temette seriamente per le sue condizioni. Come nel 1975, quando gli esplose un pneumatico in piena velocità, ad oltre trecento chilometri all’ora, sulla micidiale sopraelevata di Daytona. Per una cattiveria della sorte la gomma anteriore andò ad infilarsi nella forcella della sua Suzuki TR 750 bloccandola di schianto e sparandolo in cielo come fosse una pallina da golf. Sheene rotolò centinaia di metri lungo il budello di asfalto rimediando una gravissima doppia frattura ad entrambe le gambe. Quaranta giorni più tardi, nonostante un assortito compendio di atroci dolori e farmaci, Barry si era ripresentato in pista a Salisburgo con le stampelle chiedendo agli organizzatori di partire in sella alla moto anzichè a spinta come prevedeva il regolamento. Non gli diedero bado e lui, allora, rimase a scolarsi qualche barile di birra sul muretto dei box in compagnia di un paio di bellezze locali.
Un talento incontenibile
Sheene era un talento incontenibile, una forza della natura. Come Hunt, possedeva quel qualcosa di speciale che infiamma sempre le folle, che esalta le tribune colpendo in profondità l’immaginario collettivo. Oltre alla velocità, Barry frequentava da vicino anche un ricco catalogo di follie e sregolatezze, come quando giunse in pista a bordo di un’appariscente Rolls Royce bianca o quando, sfidando regole e regolamenti, si fece scortare sino sulla linea del traguardo da un codazzo di procaci modelle. Ma, soprattutto, Barry fu protagonista di tante vittorie. Finì sul podio in più della metà delle gare che disputò, vincendone ventitre e aggiudicandosi, così, ben due titoli mondiali. Fu anche il primo pilota ad infrangere il tabù monocromatico del colore nero, indossando tute bianche e colorate. Fu il primo a sfidare le ferree regole della numerazione pretendendo sempre di portare in gara il numero sette, quello che gli portava fortuna, il primo ad utilizzare il casco integrale stampandovi sopra l’effige della sua mascotte, quella di Paperino, solo “perché nessuno si sarebbe mai aspettato una cosa del genere da un pilota vincente”. Barry fu il primo pilota ad utilizzare un paraschiena per cercare di attutire e proteggere il corpo dagli urti. Anni di rovinose cadute lo avevano infatti spinto a ricercare le migliori condizioni di sicurezza ed a pretendere maggiore attenzione dagli organizzatori. Sheene era una furia della natura. Continuò a correre anche dopo l’abbandono delle massime categorie. A fermarlo, alla fine, ci riuscì solo una forma di cancro estremamente aggressiva che se lo portò via vigliaccamente in pochi mesi. Barry combatté sino alla fine nella speranza di arrivare almeno alla metà di settembre di quell’anno, per presentarsi puntuale all’appuntamento con il “Festival of Speed” di Goodwood, perché aveva solennemente promesso al suo grande amico e rivale di sempre, Wayne Gardner, che gli avrebbe concesso la rivincita dopo la sonora sconfitta che gli aveva inflitto nell’ultima edizione. Purtroppo si spense prima di prendere il via. Lo piansero in molti, perché con lui si chiuse la più leggendaria stagione delle corse motociclistiche.