16 Mar Once in a lifetime: Giancarlo Garbelli
Il 16 marzo 2013 muore a Lurago d’Erba, Brianza, Giancarlo Garbelli, pugile di professione. Giancarlo ha rappresentato ben di più di un paio di guantoni e di un ring. Grazie a quello stile funambolico, sul quadrato come nella vita, Garbelli ha rappresentato lo spirito di questo paese in anni fieri e difficili, quelli stessi in cui le speranze di rinascita si mescolavano all’ansia del riscatto.
Attraverso il dramma della guerra
Garbelli era passato attraverso il dramma della guerra e di tutte le sue più brucianti esperienze. Il piccolo “Ranin” aveva sperimentato una vasta gamma di difficoltà e patimenti, dal dolore alla perdita, dal distacco alla prigionia. Giancarlo era figlio d’arte. Suo padre faceva il pugile e si era laureato campione italiano dei pesi leggeri nel 1926 prima di lasciarsi attrarre dai sogni e le illusioni del Ventennio. Coinvolto suo malgrado nel vortice di quelle vicende, il piccolo Giancarlo aveva conosciuto il drammatico distacco dai genitori e l’orfanatrofio, la fuga rocambolesca e una fugace esperienza di staffetta partigiana nelle file della resistenza, sino alla drammatica morte del padre e alla reclusione nei campi di concentramento. Di quegli anni si sarebbe portato dietro una forza smisurata, la stessa con cui prese a tirare di boxe in palestra pensando di emulare le gesta del padre. A dispetto di tutte quelle avversità, Giancarlo aveva trovato la sua strada.
Una strada piena di curve ma anche di successi
Quel percorso si sarebbe rivelato lungo, pieno di curve pericolose ma anche di sorprese e successi. Perché, proprio sul ring, Giancarlo avrebbe scoperto di possedere classe e forza. Fu grazie a queste qualità e ad una non comune dose di coraggio che divenne uno dei boxeur italiani più popolari. Negli anni Cinquanta la boxe non era solo una disciplina sportiva. Era, piuttosto, un linguaggio collettivo e diffuso, un alfabeto sociale povero e potente che interpretava, con pochi e incisivi termini, le speranze di cambiamento. Assieme ai pugili, sul ring danzavano valori, tensioni ideali e bassi istinti, la forza degli argomenti e gli argomenti della forza. Nell’ambiente delle palestre milanesi dove comincia a tirare pugni, Giancarlo diventa per tutti “Ranin”, perché è così gracile e leggero da assomigliare ad un piccolo girino. Il giovane Giancarlo è magro e fragile, ma non appena inizia ad irrobustirsi regala colpi da campione. I primi incontri nelle categorie giovanili dei dilettanti lo mettono finalmente in mostra. “Garbellino” è tale e quale a suo padre, perché, nonostante tutto e tutti, ha davvero la boxe nel sangue. E’ così che comincia a vincere.
Il mitico match con Duillio Loi
Giancarlo diventa un applaudito protagonista delle serate organizzate al “Teatro Principe”, dove sono moltissimi i giovani pugili che vanno a caccia di gloria e futuro. Garbelli sale sul ring in occasione di tutte le più importanti kermesse e, vittoria dopo vittoria, fa strada. “Ranin” sogna una corona importante, sogna la sfida delle sfide. Il 2 agosto 1955 sembra finalmente essere la serata buona, quella del tanto atteso appuntamento con la storia. Giancarlo sale sul ring del Vigorelli per contendere al grande Duilio Loi il titolo europeo dei pesi leggeri. A dire il vero, quella categoria non pare essere la sua. Con l’andare del tempo “Garbellino” ha messo su peso e muscoli ma rimane comunque un peso welter e fa fatica a varcare la fatidica soglia dei sessantuno chilogrammi. Giancarlo però ha un’idea fissa e vuole boxare per il titolo, anche stringendo i denti. Nonostante la grande distanza di esperienza e potenza, il match rimane estremamente equilibrato. I pugili danzano sul filo delle corde per tutti i quindici round. Loi domina la prima serie, ma poi Garbelli si riprende, ritrova gambe e ritmo e sferra colpi precisi negli ultimi cinque. Alla fine, però, sarà Loi a spuntarla ai punti. La delusione è tanta, ma gli applausi del pubblico milanese lo rinfrancano. Giancarlo ci riproverà.
L’attacco alla corona dei pesi medi
“Ranin” continua così a lavorare al suo sogno e ad una nuova occasione che peraltro non tarda troppo ad arrivare. Cinque anni più tardi Garbelli torna, infatti, sul ring a boxare per il massimo titolo europeo. Questa volta, davanti si ritrova un cliente ostico e difficile, l’ungherese Laszlo Papp, vincitore della medaglia olimpica e incontrastato dominatore della categoria dei medi. Giancarlo è al suo meglio. Prende qualche colpo di troppo, ma ne restituisce altrettanti. Il granitico Papp vacilla più volte e sembra anche sul punto di andare al tappeto, ma poi rimane in piedi. Ad incitare “Ranin” c’è tutta Milano, la sua città fumosa e distratta che gli vuole bene come se fosse un figlio e che si commuove davanti al suo stile coraggioso, leggero e diretto. Da tempo, tra Garbelli e il pubblico si è sviluppata una strana empatia. Ambedue sembrano infatti aver condiviso la medesima metrica di sofferenza e dolore. Ambedue masticano la stessa voglia di riscatto e progresso. Nonostante il pubblico lo spinga incessantemente sino all’ultima ripresa, la vittoria gli sfugge ancora una volta per un solo punto. E’ un lungo e discusso esito ma la matematica purtroppo non lascia dubbi. Il match finisce in pareggio. Il sogno più grande e meritato, quello del titolo europeo, sfuma per un’inezia sul più bello. Giancarlo continuerà comunque a usare i guantoni passando tra i professionisti e coronando una lunga ed esaltante carriera composta da ben 72 vittorie, 14 sconfitte e 11 pareggi. Anche se porterà a casa un solo titolo, quello tricolore dei welter, la sua figura diverrà leggenda. Perché Garbelli darà prova di saper prendere la vita al meglio delle sue promesse.
La sua sfida
Garbelli non tirava di boxe per la fama. Non cercava sangue, retorica o consensi, ma inseguiva, piuttosto, l’acre sapore della sfida. Perché Giancarlo quando saliva sul ring andava a caccia della parte migliore di sè. Non a caso agli sparring partner occasionali preferiva sempre i pugili forti e affermati, perché solo con quelli poteva allenare sino in fondo la propria resistenza, perché con quelli non rischiava qualche brutta figura. Quel temerario temperamento “Ranin” imparò a metterlo a frutto in ogni cosa della sua esistenza successiva, quella che, una volta smessi i guantoni, gli passò accanto a tutta velocità. Giancarlo sprecò molti soldi e qualche buona occasione, ma cercò sempre il conforto delle emozioni. Fece l’attore, l’allevatore, l’imprenditore, il mercante di antichità, persino il pranoterapeuta e il cercatore d’oro. Giancarlo aveva pensieri lunghi e acuti e finì anche per accomodarsi in televisione, nel salotto buono di Maurizio Costanzo, per raccontarli. Pur a distanza di molti anni ormai, il suo volto continua a raccontare una delle più affascinanti epopee sportive di questo paese. “Non ho mai inseguito la gloria, il denaro o la vittoria, non sono mai stato il mio corpo quando soffriva. Facevo la boxe solo per mettermi alla prova.”