21 Mar Once in a lifetime: Brian Clough
Il 21 marzo 1935 nasce a Middlesbrough Brian Howard Clough, di professione calciatore e allenatore. Nel football moderno i risultati decidono sorti, profili e carriere. Il mondo del pallone e più in generale quello dello sport non prescindono mai dai meriti conquistati sul campo. Non è solo per via di questioni arcaiche e primitive o per la solita e ferrea legge del più forte. Il successo è il totem a cui si sacrifica tutto giustificando ogni cosa, tristemente, anche quelle meno nobili. Il secolo della modernità ha impattato sul mondo dello sport con enfasi e retorica trasformando il vincitore in un eroe. Questa fragile e precaria omogeneità semantica ha così fatto del campione un mito di grandezza proporzionale al contesto di provenienza con risultati spesso del tutto imbarazzanti. Il calciatore che segna una tripletta viene così immediatamente ribattezzato “eroe”, salvo essere declassato, nel giro di pochi giorni, al rango di mediocre comparsa. L‘instabile immaginario collettivo è il quotidiano frutto di una costante opera di mitizzazione, artefatta e fittizia, buona per tentare di scuotere un pubblico sempre più addormentato, svogliato e distratto. Tutto è così divenuto eroico e mitologico, straordinario e stupefacente. Tutto, in realtà, finisce per essere fatalmente ordinario, vacuo e impalpabile come nuvole rapide che scorrono sull’orizzonte. Per fortuna, però, non è sempre stato così.
Straordinarie eccezioni
Il secolo scorso ha infatti regalato grandissimi interpreti della nobile arte pedatoria, talenti fuori dal comune che hanno inciso a ripetizione il proprio nome negli albi d’oro di manifestazioni e trofei prestigiosi. Buona parte di loro lo ha fatto vestendo la maglia o dirigendo squadre di rango e blasone, attrezzate ed allestite di tutto punto per vincere, nutrite e programmate a quello scopo a suon di visioni e investimenti. Ma la ruota della storia ci ha talvolta consegnato anche straordinarie eccezioni. Brian Howard Clough ne rappresenta forse la più vitale e significativa. Perché Brian ha ottenuto fama, titoli e successo alla guida di formazioni piccole e “provinciali”, prive sulla carta dei mezzi e delle risorse necessarie per competere con le squadre più affermate. Perchè Brian, al cospetto di questa innocua contemporaneità di “fenomeni”, era davvero un incomparabile genio del football.
Talento a prima vista
Clough aveva alle spalle natali poveri ed una fulminante carriera di bomber che si era dovuta prematuramente interrompere per un grave infortunio al ginocchio. Brian aveva calcato per anni i campi della Prima Divisione ma non aveva solo giocato a football. Per qualche strano motivo, del suo sport aveva carpito gli equilibri segreti e le meccaniche più arcane. Ne aveva colto il respiro profondo imparando a riconoscere sempre il talento e quanto di buono c’era in ognuno dei propri compagni. Non solo. Clough aveva anche appreso i fondamenti della fine arte motivazionale. Era abile nel trovare i nervi giusti da tendere, incredibile nel portare in rilievo le attitudini caratteriali di ciascun giocatore, anche quelle che non pensavano di possedere. In questo aveva sviluppato un’incomparabile attitudine. Brian eccelleva, infatti, nel ridare smalto e consapevolezza a giocatori che avevano avuto la loro buona occasione ma poi era stati accantonati. Con i quei giocatori strinse patti maturi, vincolandoli ad un ferreo codice interno, fatto di abnegazione, sudore, impegno ed assoluta dedizione. Ma, soprattutto, Brian, oltre ai limiti altrui, aveva imparato a conoscere anche i propri. Per questo aveva capito di aver bisogno della capacità e del talento di un eccellente collega. Per questo aveva composto un solido sodalizio con Peter Taylor.
Una coppia di ferro
Era Peter a vagliare i giocatori, era Peter a farli lavorare sul terreno di gioco ed a colmare le cadute d’intensità, le pause e le assenze. Toccava, invece, a Brian disegnare le tattiche chiedendo a ciascuno di condividere e investire la parte migliore spingendosi là dove non avevano mai avuto coraggio di andare. Fu così che insieme costruirono mirabili serie positive inventando dal nulla squadre vincenti. I fenomenali successi ottenuti con il Derby County e il Nottingham Forest fecero di Clough e Taylor una straordinaria coppia di allenatori. Clough divenne uno dei tre fortunati tecnici a vincere il massimo titolo inglese con squadre diverse. Ma, a differenza di Herbert Chapman e Kenny Dalglish, Brian progettò per tempo la conquista di titoli e trofei, partendo dal basso, accomodandosi sulla panchina di squadre che navigavano in brutte acque, che faticavano anche solo a guadare la palude della Second Division, creando con attenzione e acume, stagione dopo stagione, un solido gruppo di base su cui innervare sapientemente talento, velocità e sregolatezza.
Un manager moderno
Clough ha rivoluzionato il mestiere dell’allenatore trasformandolo nella figura del manager moderno che non solo possiede una lucida visione dell’attività ma che cura anche in prima persona tutte le strategie tecniche, la preparazione e la scelta dei giocatori negoziandone contratti e ingaggi. Per questa sua mentalità ed anche per il suo modo di fare, così sfrontato, decisionista e provocatorio, è entrato più volte in contrasto con i board delle squadre che ha allenato arrivando in qualche caso a contenziosi che si sono rivelati fatali. Perchè Brian era una persona cocciuta, ostinata ma anche di grandi valori. Amava le sfide anche quando sapeva che erano perse in partenza. L’incredibile storia dei suoi quarantaquattro giorni a Leeds, trascorsi ad allenare una squadra che considerava ancora avversaria nello spirito e nell’anima, è una delle parabole più incredibili e poetiche del calcio britannico. Il suo conflittuale rapporto con Don Revie, l’ex allenatore del “Maledetto United”, è infatti lo specchio di un diverso modo di intendere il calcio, lo sport e l’esistenza stessa. Perchè Clough amava un calcio semplice, veloce e aggressivo ma pur sempre giocato nel perimetro di un confronto leale e trasparente, senza dover ricorrere furbizia e meschino opportunismo, senza spingere i suoi giocatori al fallo sistematico e alla gratuita ruvidità. Perché Brian amava la bellezza e solo a questa avrebbe sacrificato parte delle proprie convinzioni. Il suo football e quell’incorreggibile verve dialettica, così come quella particolare e innovativa visione di ruoli e tattiche, costituiscono ancora oggi la sua più vivida eredità.