08 Apr Once in a lifetime: Laura Nyro
L’8 aprile 1997 muore a New York Laura Nigro, in arte Laura Nyro, di professione cantautrice. Laura era un’artista sensibile a cui non piacevano i compromessi. Provava disagio nel dover assecondare il pubblico compiacendone gusti o capricci. Soprattutto, Laura non tollerava l’idea di perdere tempo prezioso a discutere di dettagli con i discografici, anche se sapeva perfettamente che proprio da questi sarebbe dipesa la sua futura carriera. Quella riottosa abitudine non era figlia di spinte ribellistiche o radicali. Era solo frutto di un passaggio personale e delicato, una mera questione caratteriale, fatta di umori ruvidi e caparbietà. Perché, fuor di metafora, Laura non riusciva proprio a prendere in considerazione punti di vista che non fossero espressione di libertà e indipendenza.
Un’artista severa e indipendente
In quell’epoca d’oro della musica, la notorietà si costruiva a forza di passaggi radiofonici e televisivi. Gli spazi erano limitati e per questo estremamente ambiti. Decidevano i manager. Negoziavano illusioni e opportunità con i grandi show televisivi. Ogni ospitata si traduceva matematicamente in percentuali di vendite e ascolti. Il disco funzionava come e più di molti altri prodotti chimici. Per questo destava stupore chi decideva di rimanere ai margini. Laura odiava gli obblighi della promozione, le scalette e le scadenze, i tour e tutto quello che, già all’epoca, faceva parte integrante dell’industria musicale. Sebbene amasse esibirsi dal vivo nei club e nei locali, aveva imparato a diffidare dei riflettori, perché sapeva che quelle luci effimere avrebbero potuto illuminare carriere brillanti come anche spegnersi immotivatamente senza preavviso. La questione era proprio questa, perché Laura non avrebbe mai accettato l’idea di dipendere da un interruttore, da qualcosa o qualcuno.
Libertà e autonomia
Era cresciuta in un clima culturale che vedeva nella libertà la condizione primaria di ogni espressione, anche di quella artistica. Ad agitare le coscienze di quella fatale generazione non c’erano solo idee e pensieri ma anche l’insopprimibile esigenza di gestire da sè il proprio talento, scegliendo percorsi e traiettorie senza l’assistenza di manager o tutori. Quella libertà si sarebbe riflessa in ogni singolo aspetto della sua musica, dall’incidere quello che desiderava all’esibirsi ovunque le piacesse, sfuggendo a interviste e comparsate. Laura era in netto anticipo sui tempi. Di lì a poco il rifiuto di regole e convenzioni sarebbe diventato per molti musicisti, pittori, attori e poeti un punto irrinunciabile, quantomeno a livello d’intenti, anche se non pochi furono poi quelli che scescero a miti ed ampi consigli con lo “stardom”. Non Laura, comunque, che fece invece dell’autonomia una bandiera ed una delle sue rare regole di vita.
Produzioni spigolose e contratti stracciati
Pochissime tournèe, una manciata di spigolose produzioni, qualche contratto clamorosamente stracciato e un sacco di discussioni con manager, impresari, produttori e tecnici: agli occhi dell’industria discografica, Laura Nyro era il paradigma dell’artista geniale ma ingestibile e incontrollabile. Laura non ne faceva certo una questione personale di stile o cortesia, perché, con tutta evidenza, così si sarebbe comportata con chiunque gli fosse capitato a tiro. Le etichette discografiche ed i manager non compresero né gradirono, e questa ostinata difesa della propria intimità finì per isolarla da ogni contesto. Ciò nonostante, la sua lucidità poetica e quel tocco leggero si rivelarono decisivi negli anni seguenti. Laura divenne così un’autrice estremamente influente ed un riferimento per molte generazioni di songwriter, da Joni Mitchell a Fiona Apple, da Suzanne Vega a Rickie Lee Jones. Merito di una scrittura elegante e visionaria che mescolava innovazione e tradizione, lavorando sui registri lirici del piano per scolpire ancor più in profondità quella voce così calda, carica, intima ed emozionante. Una voce profondamente blu, come il cielo di Central Park in un’assolata mattina di settembre.
Una disarmante malinconia
Testimoni sonori di un’impari lotta contro una sorda e disarmante malinconia, i brani di Laura faticarono a trovare una definizione stilistica da parte della critica. Le sue tracce respiravano tutte le tensioni metropolitane che avevano segnato la mappa di New York di quei tardi anni Sessanta, dagli incanti di Carole King al jazz contaminato del Village, dal contemporaneo poetico dei beatnik al folk nervoso di Dylan, dal riflesso abbagliante del soul alla spiritualità profonda delle chiese di Harlem sino al blues che sperimentava nuovi linguaggi ibridando suoni e rumori lungo tutto il perimetro del Lower East Side. Le sue canzoni raccontavano la città, la spogliavano di ogni superfluo orpello per restituirla ad una dimensione diretta e interiore. Laura divenne uno dei volti più riconoscibili e cool della Grande Mela, un’anima notturna e autorevole, apprezzata e applaudita. L’essere cresciuta nel Bronx ed aver toccato con mano la disarmante bellezza di una quotidiana successione di incerti e inciampi le attribuì una forza speciale. Alla sua città rimase sempre fedele anche quando si convinse che le avesse infine girato le spalle. Delusa, decise allora di ritirarsi dalle scene musicali a soli 24 anni, salvo ripensarci qualche anno più tardi per tornare a cercare la magia ormai dissolta degli esordi. Non tutto però scivolò nell’oblio. Di lei rimase, infatti, l’aura di un talento ampiamente sottovalutato e inespresso. Laura Nyro muore per una grave forma di cancro l’8 aprile 1997. Solo qualche settimana prima aveva chiesto alla sua famiglia di piantare un acero giapponese fuori dalla finestra della sua stanza, perché sarebbe cresciuto alto e forte guardando il cielo mentre lei si spegneva.