03 Dic Once in a lifetime: Alberto Juantorena
Il 3 dicembre 1950 nasce a Santiago di Cuba Alberto Juantorena Danger, atleta e primatista mondiale. Il suo nome fa parte della storia dello sport, evoca sfide e imprese leggendarie e riporta in vita i fasti e le tensioni di una delle più belle stagioni dell’atletica, quella della seconda metà degli anni Settanta. Perchè, per diverse generazioni di appassionati, Juantorena è stato la corsa. Alberto era la sua impressionante falcata e il primato del mondo sugli ottocento metri piani, era eleganza e potenza, fluida, progressiva e inarrestabile. Ma, soprattutto, Juantorena era il riflesso luccicante dell’oro delle medaglie ai Giochi Olimpici di Montreal e quegli occhi chiari e lucidi che fissavano il cielo appena sopra di lui.
Una straordinaria carriera
La sua è stata una lunga e straordinaria carriera coltivata a base di record e primati, ma anche una storia singolare costellata da episodi fortunati e gravi infortuni che finirono per condizionarne il rendimento. Juantorena è stato un’icona. Ha rappresentato i polmoni d’acciaio del mezzofondista ma anche la libertà. Perché correre e vincere in quel modo due delle gare più massacranti dell’atletica da pista è cosa da leggenda. Farlo, poi, nell’arco di solo pochi giorni è appannaggio dei più grandi di sempre. Alberto era quello dalla lunga e folta basetta, l’atleta incoronato da una invidiabile giungla di riccioli, quello che non aveva paura di tirare, di andare in testa a fare l’andatura, a incrementare il ritmo dei propri passi nell’ultimo decisivo e devastante giro di pista, quello della morte, del dolore e del cuore in gola. Quel suo fisico e quell’altezza gli avevano dato un vantaggio formidabile. Juantorena era una sorta di fenomeno vivente. La sua poderosa ed elegante falcata apparteneva ad una dimensione distinta, del tutto fuori dal comune, perché superare i 2 metri e 70 di passo lo avvicinava ad un ciclope. Ma il suo vero dono era la naturale motricità con cui si lasciava alle spalle metri e avversari senza mai cedere alla fatica. Juantorena era un mattatore che sapeva correre entusiasmando. Le sue vittorie nacquero spesso da condotte di gara istintive, temerarie e prepotenti, da andature folli o scatti brutali e vertiginosi. Proprio con uno di questi andò a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi percorrendo gli ultimi cento metri in un fantascientifico 11” 9 ottenendo uno strepitoso record del mondo. “El Caballo” era un atleta completo che non conosceva paura, in grado di correre nella stessa giornata le batterie e le finali dei 400 e degli 800 metri e, magari, pure di salire ambedue le volte sul gradino più alto del podio. Perchè quell’esplosivo fascio di muscoli e tendini in tensione sembrava arrivare da un altro sistema solare. Quando Alberto decideva che la strada doveva accorciarsi gli bastava spingere un po’ sull’acceleratore e il vuoto si apriva alle sue spalle.
Anima e orgoglio
In un mondo diviso ancora in rigidi blocchi, Juantorena ha rappresentato sino in fondo l’orgoglio e l’anima del suo paese, la voglia collettiva di riscatto al cospetto dei giganti mondiali, divenendo per la stampa di mezzo mondo il simbolo sportivo della rivoluzione cubana nonché un impegnato ambasciatore alle prese talvolta con stridenti contraddizioni politiche. Ma la storia probabilmente lo ricorderà solo – si fa per dire – per le straordinarie ed avvincenti imprese, per essere stato il primo ed unico atleta ad aggiudicarsi i 400 e gli 800 metri nella medesima edizione dei Giochi olimpici, entrando così nel capitolo degli immortali e guadagnandosi in pista lo storico epiteto di “atleta delle Olimpiadi”.
Il suo capolavoro
Il 25 luglio del 1976, all’indomani del trionfo sugli 800, Alberto scende di nuovo sull’anello della pista. A quei Giochi ci è arrivato con prestazioni eccellenti ma, per buona parte del mondo, quell’atleta cubano che svettava in altezza rispetto agli avversari nulla avrebbe potuto al cospetto dei giganti della categoria. E poi sarà pure stanco, azzardano maliziosamente i cronisti. Invece, ancora una volta, “El Caballo” stupisce il pubblico e supera brillantemente le prime batterie. E’ solo l’inizio del suo massimo capolavoro. Due giorni più tardi approderà infatti alla semifinale e quindi all’attesissima finale. I 400 metri sono da sempre considerati una misura bestiale, troppo lunga da fare alla massima velocità e troppo corta per tentare l’azzardo di qualche piano tattico. Questa volta Alberto non parte bene. Allo sparo si muove infatti con qualche attimo di ritardo. Sembra esitare, come si fosse lasciato distrarre da qualche pensiero lungo, come se avesse visto quanto poi sarebbe fatalmente accaduto in quel fantastico giro. Una volta tanto lascia così ad altri il compito di fare da guida. Si infila nel gruppo degli inseguitori e scruta l’orizzonte. Vede il movimento di Newhouse là davanti e lascia fare, almeno sino alla curva finale. E’ lì che Alberto sembra destarsi da quel leggero e vigile torpore che gli aveva sin lì tenuto compagnia. Juantorena finalmente libera tutta l’energia che ha ancora in corpo, aumenta i passi, apre imperiosamente la falcata e rialza la testa al cospetto dello stadio. Non è solo quello presente sugli spalti del catino canadese ma anche il pubblico di ogni parte del mondo ad alzarsi improvvisamente in piedi per spingerlo verso il traguardo. Quell’inarrestabile turbine brucia le velleità dello sfinito statunitense che tenta disperatamente di resistere finendo però alle sue spalle per pochi centesimi. Alberto entra così nella storia dei Giochi e dell’atletica. Oltre alla seconda medaglia d’oro in quattro giorni, strappa anche il miglior tempo di sempre a livello del mare. La sua strada è ormai segnata. Per molti anni ancora, Juantorena continuerà a salire sul gradino più alto del podio con costante regolarità, almeno fin tanto che i suoi poderosi muscoli glielo permetteranno e fino a quando i fastidiosi infortuni non cominceranno a comprometterne le prestazioni. Saranno proprio questi a costringerlo di chiudere anzitempo la sua incredibile carriera agonistica. Ciò nonostante, Juantorena non smetterà mai né di correre né di sognare, e di questo il mondo intero gliene sarà per sempre grato.