06 Apr Once in a lifetime: Igor Stravinskij
Il 6 aprile 1971 muore a New York Igor’ Fëdorovič Stravinskij, di professione compositore. I grandi musicisti del passato dovevano misurars, ben più degli attuali, con un sapere severo, omologato e ufficiale. Il futuro era uno stretto perimetro di convenzioni, dogmi e canoni imposti da scuole, accademie e rigide dottrine. Lo spartito veniva così preso in ostaggio da codici a cui era difficile sottrarsi. Uscire da quel tracciato era come giocare una mano a carte coperte con il destino. In quel mondo lento e chiuso, chi sceglieva di abbandonare la strada battuta doveva così mettere in conto grandi difficoltà e la disgraziata evenienza di perdere i favori di chi aveva sin lì garantito un dignitoso sostentamento.
Una musica reale e concreta
L’artista doveva misurarsi con le reazioni di un pubblico esigente e attento, che peraltro non esitava mai a esprimersi in forme estremamente palesi se non addirittura fisiche. Perchè la musica, l’opera e il balletto, in quei frementi anni, erano cose serie, lontane dal disimpegno bonario e dalla riproduzione seriale. Piuttosto, la musica composta ed eseguita in pubblico aveva a che fare con ruoli e riconoscimenti. Ecco perché il destino di ogni opera so giocava nelle grandi sale dei teatri e dipendeva sempre dall’applauso della platea e dei critici. Da quelle forche caudine passarono tutti gli azzardi ed i pensieri dei più grandi compositori, da Mozart a Beethoven. Da lì dovette fatalmente transitare anche la straordinaria arte musicale di Stravinskij.
Un audace visionario
Igor era un audace visionario che bruciava brividi e passioni. Era convinto che la musica stesse perdendo il suo collegamento con la realtà, che la sua anima meritasse di coltivare ben altre ambizioni. Aveva compreso, prima di altri, che le strutture sonore del passato non erano in grado di rimanere al passo con i tempi, di interpretare il cambiamento e il vento di una meccanica modernità. Stravinskij lavorava per dare una via di uscita alla musica, per farla evadere dal suo recinto, per renderla contemporanea e disponibile. Per lui scrivere significava sperimentare, aprire strade e costruire ponti ricorrendo a strumenti inediti ed a nuove sonorità. Le prime opere, “L’Uccello di Fuoco” e “Petruska”, contenevano idee e intuizioni radicali che avrebbero modificato tutte le traiettorie compositive della musica europea aprendola finalmente a nuove esperienze come la politonalità e ad un’epifania di timbri e ritmi. Ma ambedue quei lavori, commissionati da Diaghilev per i suoi “Balletti Russi”, pur destando non poco stupore, finirono in qualche modo per scivolare su binari paralleli a quelli percorsi da altri compositori dell’epoca, in un fine gioco di specchi e precari equilibrismi. Quelle opere suonavano particolari, riscuotevano curiosità e interesse ma non suscitavano più di tanto scalpore. Igor non si sarebbe accontentato.
“Le Sacre du Printemps”
Fu con il successivo capolavoro che Igor regolò i conti con il suo tempo. “Le Sacre du Printemps” andò in scena a Parigi, al Théâtre des Champs-Elysées, la sera del 29 maggio 1913. Le trame dissonanti suscitarono sin dalle prime battute la violenta reazione dell’audience che si credette vittima di un feroce scherzo: buona parte della platea abbandonò la sala contestando sonoramente minacciando fisicamente i ballerini e l’autore. Quella sera, davanti a un pubblico deluso, arrabbiato e impaurito, la musica entrò nella sua fase più matura liberandosi definitivamente da vincoli e strutture che ne avevano sin lì mortificato l’evoluzione. Quella sera Igor cambiò il corso della storia e la storia non tardò a prendere la direzione che aveva così clamorosamente suggerito. Nel giro di pochi anni, molti compositori cominciarono a seguire le traiettorie delle sue ardite costruzioni metriche entrando in stretta confidenza con ambienti disarmonici e tutte quelle singolarità. Su quegli stessi sentieri finirono così per incrociare in molti, da Prokofiev a Bartók, da Milhaud a Ravel sino ad Arnold Schönberg. Qualcuno di loro raccolse il testimone allargando maggiormente aree e perimetri sonori, altri li misero, invece, in sicurezza facendo strada a chi sarebbe sopraggiunto poi, alle post-avanguardie, agli sperimentatori e ai “guastatori” di stili ed accenti. “Le Sacre du Printemps” celebrò la dissonanza rompendo radicalmente con schemi e tradizioni e facendo letteralmente a pezzi il “sancta sanctorum” di canone, armonia e melodia. “Le Sacre du Printemps” aprì le porte al futuro. Fu un nuovo, grandioso ed eccitante inizio.
Il fascino della deriva
Da lì in avanti Stravinskij tagliò i ponti con il passato. Rinunciò alle grandi orchestre e decise di procedere per quadri, temi e movimenti, sottraendo il superfluo per restituire agli strumenti un nuovo spazio evocativo. Negli anni successivi Igor si lascerà anche affascinare dal respiro delle musiche popolari e dal jazz nel tentativo di declinare la complessità in forme espressive e stilistiche sempre più semplici, radicali, meticce ed elementari. Ciò nonostante, come accade spesso a chi rompe gli schemi, la sua musica, così influente, essenziale, intellettuale e riservata, non riscosse gli applausi che avrebbe meritato. Igor divenne così influente e decisivo più che popolare, un artista acclamato da colleghi, letterati, poeti, uomini d’arte e di cultura più che dal grande pubblico. Di questo però non se ne fece mai cruccio, perché, come acutamente annotò il critico Harold Schonberg del New York Times, “probabilmente aveva finito con il vivere piú per ciò che aveva fatto alla musica che per ciò che la sua musica aveva fatto alla maggioranza degli ascoltatori.” Igor non sapeva che il tempo, però, almeno in questo, si sarebbe dimostrato galantuomo, perché oggi il suo nome è entrato di diritto nel ristretto novero dei più grandi compositori di sempre.