01 Giu Once in a lifetime: Ezio Pascutti
Il 1 giugno 1937 nasce a Chiasiellis di Mortegliano, in provincia di Udine, Ezio Pascutti, di professione calciatore. Ezio apparteneva alla sua terra e ne incarnava infatti lo spirito più combattivo. Ezio veniva da un Friuli duro e cortese, severo e difficile che sapeva ancora di povertà, viaggi, speranza e immigrazione. Delle 450 anime del suo piccolo paese che erano sopravvissute alla guerra, più della metà se n’era andata a cercare pane, lavoro e fortuna oltre Atlantico. Come Enea, suo fratello, che in Canada aveva trovato un modo onesto di guadagnarsi da vivere. Anche Enea era un bravo calciatore ma un grave infortunio gli aveva rovinato la carriera. Il calcio però, con le sue lusinghe e i suoi giochi di prestigio, gli era rimasto nel sangue. Sarà proprio lui, infatti, a spingere il fratellino Ezio verso quello sport, sarà lui a spronarlo a calciare scomodo e mancino, perché in Italia, diceva sempre, dopo Carapellese non c’era più stata un’ala sinistra degna di questo nome.
Nel nome di Enea e Paride
I consigli di Enea danno buoni frutti. Quando ritornerà in Italia qualche anno più tardi Ezio è ormai diventato un calciatore vero. Il suo rientro non sarà però lieto. Enea torna infatti a casa solo per rivederla un’ultima volta prima di andarsene per sempre. La stessa prematura e tragica sorte tocca anche al maggiore dei fratelli Pascutti, Paride, che non si riprenderà mai dalla devastante esperienza della detenzione nei campi di concentramento nazisti. Al ritorno a casa si lascerà morire d’inedia a soli trent’anni. E’ nel loro nome e nel loro ricordo che Ezio tenta ostinatamente di diventare un calciatore, ed è proprio da loro che mutua quella straordinaria e grandissima forza interiore. Questa potente carica agonistica diverrà fatalmente croce e delizia della sua carriera.
L’arte del difficile
Il giovane Ezio è un protagonista che si fa notare. Quando scende in campo è una furia. E’ il primo a tallonare gli avversari, il primo a rubare loro palla e ad involarsi sulla fascia laterale. Pascutti non si tira mai indietro. Mette l’anima, la gamba e la testa in ogni azione, come se fosse l’ultima o quella determinante. E’ accanito, volitivo e generoso. Non molla mai, nemmeno quando il risultato appare ormai compromesso. Gipo Viani lo vede giocare e se lo porta subito a Bologna. Ezio va a rinfoltire i ranghi di una squadra temibile e compatta, va a fare compagnia a Pivatelli, Ballacci, Jensen, Pilmark e Cervellati. Segna subito all’esordio e continua così per anni. A Ezio, però, piacciono le cose complicate. E’ una questione naturale, di pelle: a lui vengono bene le soluzioni più temerarie mentre rischia spesso di sprecare malamente le occasioni più semplici. Pascutti fallisce così gol facili realizzando invece i più impossibili. E’ un brutto cliente per difensori e giacchette nere. Quando si lancia a caccia della palla non bada a convenevoli. Quel suo fare vistoso nasconde per molti una latente irascibilità, cosa disdicevole per quel calcio ipocrita e ingessato. Litiga infatti spesso con i difensori e non si tira mai indietro quando in mischia c’è pure da muovere mani e gomiti. Ezio è sempre determinato e sa farsi rispettare. Ma per il pregiudizio dei cronisti è un caso a parte, un attaccante fisico, aggressivo e troppo duro, un’attaccabrighe insomma.
Scudetto e Mitropa
L’ingiustizia di quel luogo comune lo segue come un’ombra per anni e tornerà fuori, come un mantra, in tutte le occasioni più critiche. Con lui in campo, però, i rossoblu diventano sempre più squadra. Perché Pascutti la butta dentro in ogni occasione diventando uno degli attaccanti più costanti e regolari di sempre. Ezio è dotato di grande intuito e agilità. Gonfia le reti in acrobazia e di forza. Nonostante qualche critica velenosa, sono proprio i suoi gol a consegnare al Bologna di Bernardini la Mitropa Cup e l’incredibile scudetto del 1964, dopo un emozionante spareggio romano con l’Internazionale.
Il fattaccio di Mosca
Edmondo Fabbri gli apre finalmente le porte della nazionale. Nei suoi schemi Ezio può rivelarsi una pedina fondamentale e comincia a schierarlo con il compito di sfondare le linee nemiche. Ma le cose non vanno come dovrebbero e non solo per colpa di qualche infortunio o per l’irresistibile ascesa di un giovanissimo talento di nome Gigi Riva. Il suo presunto “caratteraccio” trova ancora modo di farsi vedere e la stampa nazionale non glielo perdona. E’ il 13 ottobre 1963. Gli azzurri vanno a Mosca a giocarsi l’accesso ai quarti di finale dell’Europeo. L’Italia manda in campo Bulgarelli, Corso, Sormani, Rivera. Il piano è provare a contenere le sfuriate avversarie giocando di rimessa per puntare tutto sulla velocità di Ezio. Ma la marcatura di Dubinski è estremamente ruvida. C’è una buona occasione. Pascutti gli va via facilmente e punta ormai la porta difesa da Urushadze. L’arcigno difensore russo lo stende malamente colpendo con sospetta cattiveria proprio la gamba operata di recente. Quello non è un fallo, è una vile provocazione. Pascutti si rialza di scatto, non si trattiene per quello sgambetto vigliacco e, purtroppo, reagisce. Ezio gli mette le mani al collo, e prova anche a colpirlo platealmente con un gancio che però non va a segno. Li separano. Dubinski cade a terra come fosse stato ammazzato. L’arbitro espelle Pascutti e l’Urss straripa. Vincerà due a zero grazie a due prodezze balistiche di Ponedelnik e Chislenko.
Un ingiusto pregiudizio
In quell’Italia ancora troppo candida la reazione di Pascutti suscita reazioni viscerali. E’ colpa sua se le ambizioni italiane sono ancora una volta naufragate, è colpa sua se il nostro calcio ha subito l’ennesimo drammatico smacco. Ezio deve così subire un processo mediatico senza precedenti e dall’esito scontato. La Federazione Europea non assume nei suoi confronti alcuna iniziativa mentre quella italiana, pressata da ipocrisie, politici e giornalisti, lo squalifica per ben tre mesi con il massimo del biasimo. Da lì in avanti Ezio non riuscirà più a scrollarsi di dosso la macchia di quella brutta avventura. Anche il rapporto con gli arbitri italiani si farà sempre più difficile. Pascutti diventa infatti il paradigma del giocatore rabbioso e violento, furbo e rissoso. Ci sarà ancora spazio per l’azzurro della nazionale, dove peraltro segnerà otto gol in diciassette incontri, così come per altre eccezionali stagioni in maglia rossoblu. Giocherà sino al 1969, diventando un’icona e una bandiera del club emiliano, per andare poi a sedersi in panchina ad allenare una manciata di squadre. Nonostante per molti tifosi sia rimasto sempre quello del fattaccio dello Stadio Lenin di Mosca, le sue gesta e le sue incredibili marcature lo hanno proiettato nel pantheon del football nostrano. Anche a distanza di decenni Pascutti viene infatti ricordato tra i più appassionati interpreti di una delle più affascinanti stagioni del calcio italiano.