19 Nov Once in a lifetime: Zygmunt Bauman
Il 19 novembre 1925 nasce a Poznań Zygmunt Bauman, sociologo, saggista nonchè maestro del pensiero contemporaneo. Bauman ha esplorato l’animo umano nelle sue proiezioni sociali. Ne ha scandagliato le paure, ne ha interrogato il disagio e lo smarrimento rispetto allo scorrere del tempo e alla scomposizione delle strutture sociali di rappresentanza. Bauman si è fatto strada nella vischiosa liquidità post-moderna, termine coniato in omaggio ad una giovanile passione per la fisica, ne ha percorso le derive sino a toccare con mano le incognite del passaggio dalla solidità fordista della società industriale alle fragilità omologate della società post-crescita, dominata da instabilità e frammentarietà. Lo ha fatto sempre con rigore, classe ed eleganza, in punta di ragionamento senza mai innamorarsi troppo delle proprie convinzioni ma sempre all’insegna di uno spirito di servizio. Bauman, straniero in terra straniera, ha fatto delle proprie presunte debolezze una straordinaria forza, rimanendo lontano da schieramenti e correnti, nella consapevolezza di non appartenere a niente ed a tutto. Questa sua severa determinazione ha lasciato un indelebile segno in questi anni “zero” anche e soprattutto grazie a raffinate doti di scrittura e ad una semantica asciutta, diretta, comprensibile e universale, in grado di raggiungere e di toccare le corde più profonde di un pubblico sempre più vasto.
L’incertezza e la paura
La sua antropologia filosofica basata sull’esperienza dell’incertezza è così uscita dal polveroso ambito dei circuiti cattedratici ed ha riscosso interesse e consenso in ambienti diversi e distanti. Il suo punto di vista ha conferito alla dimensione soggettiva una nuova geometria sociale facendo emergere tutte le gravi criticità di un modello di sviluppo che ha drammaticamente eroso le comunità, le loro reti di sostegno e lo stesso significato di appartenenza. Le sue riflessioni sono state lette come una reazione alla cinica freddezza dei mercati ma anche come un’eclatante indagine sulla fragilità umana. Bauman ha colto prima di altri il delicato passaggio storico. Ha declinato, infatti, l’atomizzazione delle strutture sociali all’interno dei grandi fenomeni globali e alle grandi crisi di questi ultimi decenni, intuendo l’inadeguatezza di contesti e categorie tradizionali, del tutto incapaci anche solo di descrivere la complessità delle trasformazioni in atto.
Un analista del cambiamento
Bauman è un analista del cambiamento. I suoi studi hanno evidenziato vecchi vizi e nuove dinamiche esaminando l’impatto dei mutamenti dei mercati sulla percezione soggettiva e sulla formazione del consenso in una società sempre più aperta, globalizzata ed esposta a nuovi rischi. Bauman ha tracciato, con grande lucidità, le traiettorie di una condizione umana precaria e senza certezze, alle prese con sentimenti e pulsioni ataviche, vecchie e ossidate quanto il mondo, come l’angoscia, la paura e la caduta. Il pregio del suo lavoro è stato quello di ampliare l’ottica complessiva di riferimento, declinando le tendenze in atto sino a sovrapporre la dimensione individuale alle criticità del contesto globale, gli egoismi nazionali al consolidarsi di disuguaglianze e nuove povertà, il declino economico alla crisi dei modelli sociali, l’erosione dei diritti ai tragici scenari di guerra e terrorismo. Ma Bauman non si è limitato alla mera osservazione e non si è quindi sottratto alla grande responsabilità etica richiesta, a tutti i livelli, dalla modernità digitale. Gli ultimi interventi prima della scomparsa si sono infatti spinti in territori inediti, in direzione di una sempre maggiore integrazione e all’insegna di un modello di sviluppo finalmente basato sulle esigenze primarie delle persone, sulla libertà, sui diritti di cittadinanza e su asset strategici come la cultura e la formazione. Anche per questo, il suo pensiero rimarrà uno dei più importanti contributi al cospetto degli incerti della modernità.
“La felicità non è evitare i problemi, la felicità è superarli”
“La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all’altezza della sfida. L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso. La felicità non è evitare i problemi, la felicità è superarli.”