04 Dic Once in a lifetime: Socrates
Il 4 dicembre 2011 muore a San Paolo Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, di professione medico pediatra, centrocampista illuminato nonchè filosofo del pallone. Come l’omonimo pensatore ateniese, anche il “doutor” rincorreva e agitava idee e pensieri. Solo che lui lo faceva ogni domenica inseguendo un pallone su un prato verde in compagnia di ventuno giocatori, un arbitro e svariate migliaia di persone.
La leggenda del “doutor”
Tanto si è detto e scritto del suo senso del gioco e della sua vita assetata, dentro e fuori dai campi di calcio. Sócrates era un funambolo atipico, un genio irregolare, un autorevole membro di quella grande genia di calciatori brasiliani che cercava, a modo suo, di misurarsi con la concretezza del campo, con le misure geometriche e, fatalmente, anche con l’orizzonte del cielo ed i sogni. Il suo mondo sembrava possedere un ritmo arcaico, quasi come una sorta di trama antica. Quel cielo era ancora più rarefatto di quello frequentato da altri ispirati colleghi dell’epoca, come Zico, Falcao o Toninho Cerezo. Il “doutor” ammaestrava palloni impossibili officiando un futebol lento ma irresistibilmente estetico, elegante e di altissima cifra stilistica, ricco di effetti speciali da cineteca e magistrali colpi di tacco. Il suo era un ballo lento e sinuoso, fatto di accenti e virgole. Le sue finte sconcertavano le difese avversarie e le mandavano al tappeto, lasciando a bocca aperta i difensori più rocciosi. Ma Sócrates non si accontentava. Cercava di più. Voleva l’iperbole, l’urlo e l’applauso. Lo svolazzo d’artista e l’ebbrezza dell’acrobazia. Socrates scuoteva le curve e leggeva il destino dell’umanità tra le zolle. Il suo mondo era frutto di una diverso punto di vista. Perché Sócrates non passava la palla ma piuttosto la serviva, non tirava ma la pennellava. Con la sfera tra le gambe apriva corridoi impossibili, disegnava diagonali inusitate, suggeriva tunnel incredibili. Ma la sua vera specialità è che non lo faceva solo con i piedi ma anche con quella fine testa da intellettuale in gita, da uomo di cultura fiero e antico come la sua barba.
“Democrazia corinthiana”
Di certo Sócrates rimarrà per i tifosi brasiliani un campione irripetibile. Non solo perché il suo calcio poetico coincise con una delle più belle stagioni della Selecao ma anche per le idee ed i pensieri che ha spesso infilato in rete al pari di parabole e pallonetti incantati. Perché nel pallone Sócrates ha visto e sperimentato un nuovo modello di società, un radicale sistema imperniato su merito, diritti e doveri che metteva la squadra e il gruppo al centro di tutto e che affidava alla partecipazione di tutti i giocatori l’onere della gestione. Tutto questo sfociò in un inedito modello di organizzazione collettiva che Sócrates sperimentò con i compagni di squadra del Corinthians in anni bui e difficili per il suo Paese. In quella “democrazia corinthiana” tutto veniva infatti messo ai voti, dai ritiri agli allenamenti, dalla formazione ai moduli tattici, dagli obiettivi di mercato ai nomi dei giocatori da vendere. Era uno schiaffo non solo alla dittatura ma anche ad ogni metodo di gestione del consenso, era una sonora sberla ad ogni deriva autoritaria e ad ogni indebita ingerenza del potere, una rincorsa libertaria e utopistica che si smarcava dalla prima controversa stagione del futebol verde-oro dei capitani d’industria. Fu un capitolo epocale nella storia del calcio brasileiro, un segnale simbolico di grandissima importanza. Grazie al clamoroso impatto mediatico, quella forma di autogoverno calcistico divenne anche una della più importanti pagine di resistenza civile contro la dittatura militare e fornì un decisivo passo verso la democrazia. Terminata la carriera attiva, Socrates, andò incontro a diversi rovesci di natura umana e professionale che lo spinsero verso una tragica deriva fatta di alcol e abbandono. Ciò nonostante, rimase per tutti un punto di riferimento e un personaggio molto amato, influente e ascoltato, almeno fin quando le condizioni fisiche glielo permisero, fin tanto che la lucidità gli regalò ancora qualche sprazzo di insensata genialità.
Morire di domenica
Sócrates era il ragionamento, il pensiero scomodo, originale e contro corrente, la vis polemica, l’istinto di discutere e capire a dispetto di luoghi comuni, regole e convenzioni. Giocava davvero per il gusto di farlo, per il gioco e per la gente. Era un’anima intelligente e sensibile che non aveva paura di dire quello che pensava, che non temeva di esporsi in prima persona soprattutto nelle battaglie civili in difesa dei più deboli dove era necessario stare dalla parte di coloro a cui la vita ha teso qualche tranello di troppo. Quello era il suo destino, quello avrebbe fatto per sempre ed a qualunque costo, senza vincoli e condizioni. Quello divenne anche il suo più sensibile tallone d’achille. “Vorrei morire di domenica, mentre il Corinthians diventa campione” disse quando sentì avvicinarsi la fine, e, incredibilmente, così fu, l’ennesimo segnale delle stelle. Sócrates se ne andò per sempre in una strana domenica mattina, quella del 4 dicembre 2011, nello stesso giorno in cui il suo amato Corinthians sarebbe tornato a scrivere il proprio nome nella storia pareggiando con il Palmeiras e diventando così nuovamente campione. Quella domenica di gioia, in uno stadio profondamente commosso, la sua ex squadra scese in campo per raccogliersi in composto silenzio nel cerchio di centrocampo con le lacrime agli occhi e il pugno chiuso verso il cielo. Poi, dopo i novanta minuti, arrivò anche il punto decisivo e i bianconeri paulisti tornarono a toccare il cielo per fare festa e tenergli compagnia per un’ultima meravigliosa volta.