02 Feb Once in a lifetime: Geoff Travis
Il 2 febbraio 1952 nasce a Stoke Newington, Londra, Geoff Travis, di professione discografico. Forse, a molti di voi, il suo nome non suggerisce granché. Forse però le cose cambiano se lo si associa a quello di una delle più rivoluzionarie etichette discografiche di sempre. Perché Geoff Travis è l’uomo dietro cui si è celata per anni la leggendaria sigla della “Rough Trade”, il marchio per eccellenza della “musica indipendente”.
“Rough Trade”
Travis apre il primo negozio di dischi nel lontano febbraio del 1976 a Kensington Park Road, nel quartiere londinese di Notting Hill. Geoff è un ragazzo attento alla musica e alle arti ma ha anche fiuto per gli affari. Il negozio si specializza da subito in un catalogo di bands garage e reggae. Geoff però studia il vento. Ha compreso per tempo che tutto quel nervoso ribollire di band e giovanissimi artisti prima o poi troverà modo di manifestarsi. Travis ha intuito l’epocale portata dell’esplosione artistica che cambierà volto alla scena e al mercato. Infatti, tempo un paio di mesi, il punk si prenderà a forza la scena rimescolando per sempre sintassi, grammatiche e geometrie. Geoff è un romantico visionario. Ha appositamente scelto di aprire il negozio in quella strada, a pochi passi da Powis Square, perché proprio lì era stato girato otto anni prima “Performance”, un film culto sulle bande giovanili di Donald Cammell e Nicolas Roeg con un giovane e riottoso attore di nome Mick Jagger. Geoff ha idee chiare. Alla metà degli anni Settanta, aprire un negozio di dischi era quasi un’ordinaria attività imprenditoriale e non una temeraria missione come è poi diventato in questi anni liquidi. Molto meno ordinario, però, era fondare un’etichetta discografica per promuovere musica “alternativa” che faticava a trovare spazio adeguato nei canali ufficiali. Ancora più folle e velleitaria era l’idea di radunare le piccole realtà esistenti per creare una compagnia di distribuzione, dal provocatorio nome di “The Cartel”, che sfidasse le major sul loro stesso terreno e sulla frontiera ancora parzialmente incustodita dei piccoli negozi di provincia. Travis fece tutto questo in una sola manciata d’anni, rivoluzionando il mercato discografico mondiale.
L’utopia realizzata del “do-it-yourself”
Il marchio “Rough Trade” rappresentò per la mia generazione un sogno realizzato, l’utopia praticata del “do-it-yourself”, il motore creativo che stimolò un’intera nuova scena musicale a cavallo tra punk, post-punk e new-wave. Travis fu un vero innovatore. Intuì e creò uno spazio imprenditoriale che non esisteva. Non solo pensò a valorizzare le competenze e la capacità di tante piccole realtà di natura amatoriale, ma offrì loro un progetto, una rete di relazioni permanenti che le facesse crescere. Geoff indicò pionieristicamente una strada, praticando un modello sostanzialmente eretico, irregolare e impensabile, che sfidava le grandi compagnie discografiche in maniera resiliente trasformando le debolezze in clamorosi punti di forza. Geoff alimentò quotidianamente la sua lucida visione imprenditoriale con una viscerale passione, dosi massicce di visione etica e un’attenta strategia che si rifletteva nelle scelte artistiche, nei contenuti estetici, nel design sino alle politiche di prezzo e ad un nuovo e più equo rapporto con gli artisti.
Il business dal “volto umano”
Grazie anche a questa sorta di business dal “volto umano”, Travis mise assieme un roster artistico straordinario che andava dal graffio militante di Fall, Easterhouse, Stiff Little Fingers agli equilibrismi di Cabaret Voltaire, Pop Group, Scritti Politti e 23 Skidoo, dalle magistrali fughe in avanti di Robert Wyatt alla brillante urgenza pop di bands come Smiths, Woodentops, Buzzcocks e Subway Sect. In quel catalogo c’era tutto quello che si poteva chiedere a quegli anni di grande tensione creativa. C’era il coraggio, la voglia di sperimentare, di rompere regole e canoni, di provare a fare in proprio utilizzando ingegno e intelligenza. Soprattutto, in quelle produzioni c’era un’idea laterale del mondo, una via obliqua per il futuro e una straordinaria ipotesi per il domani. Queste cose si respiravano in ogni solco a prescindere dalle traiettorie musicali delle band pubblicate.
La musica “indie”
Anche per questo il marchio “Rough Trade” non identificò solo un’attiva etichetta discografica. Perché, in realtà, Travis aprì di fatto un nuovo mercato, facendo del termine “indie” una sorta di certificazione di origine controllata nonché un intrigante nuovo modo di leggere il mondo e la società. Le sue produzioni segnarono un’intera epopea musicale dando spazio a un carnet infinito di intelligenze radicali e non-allineate. Purtroppo il sogno non durò a lungo e, alle prime difficoltà dell’industria discografica, sul finire degli anni Ottanta, arrivarono stagioni incerte e difficili e, con esse, anche l’amministrazione controllata. Il marchio, acquisito da altre etichette, tornò a lavorare a pieno regime solo negli anni Duemila cavalcando la nuova ondata del “brit rock” con una nuova nidiata di talenti come Libertines, Strokes e Antony and the Johnsons. Ma fatalmente il mondo della musica non era più quello del 1976. Geoff decise, così, di tornare a occuparsi in prima persona dei negozi di Londra, Nottingham e Brooklyn. Adesso Travis è nuovamente al timone a dirigere le operazioni. Annusa l’aria, scruta il cielo e tiene vivo il contatto con il suo pubblico, in attesa di comprendere, ancora una volta, dove dirigere la prua. Nessuno mette in dubbio che saprà dove spingere quel suo strano vascello. “Tutto nasce dalla mia propensione, quella di ascoltatore innamorato di ogni cosa che si muova, musicalmente parlando. L’obiettivo che mi pongo è di poter diffondere buona musica indipendentemente dalle pressioni del mercato. Spero di riuscirci.”